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Trans-gedia. Lo shock della sconfitta manda in confusione i Democratici, che iniziano a negare sé stessi

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A leggere i giornali statunitensi più autorevoli trovi di tutto, specialmente – a mio parere – quello che da noi non traspare per il politicamente corretto. Ma i fatti sono fatti.

Quando qualche giorno fa Sarah McBride è salita sul palco a Wilmington, Delaware, è diventata la prima persona apertamente transgender eletta al Congresso.

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Un passo avanti per i diritti LGBTQ+? Peccato che, appena qualche giorno dopo, il Partito Democratico americano ha mostrato tutta la sua imbarazzante incertezza su questo tema.

Due dei futuri colleghi democratici di McBride hanno infatti dichiarato pubblicamente di essere, diciamo, un po’ “confusi” sui diritti trans. Risultato? Il “traguardo” democratico su inclusività e diritti sociali si è trasformato in un passo falso memorabile, diciamo pure una disfatta.

Per il, relativamente breve momento della storia che precede le elezioni, i democratici americani erano certi di aver capito tutto. Con una coalizione inclusiva pronta a portare Kamala Harris alla Casa Bianca, a mantenere il Senato e a strappare la Camera, la vittoria sembrava in tasca.

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Ci voteranno tutti, era il loro pensiero, minoranze, periferie, classe media, classe povera, immigrati ecc…, ma soprattutto le donne.

La realtà? La Casa Bianca è sfumata, il Senato pure, e la Camera è molto traballante. 

Come da copione, nel partito è iniziata la notte dei lunghi coltelli, e chi ci rimette sono, manco a dirlo, i gruppi meno potenti, come la piccola percentuale di americani che si identificano come Transgender, che finiscono nel tritacarne mediatico come capri espiatori.

Non è certo un approccio innovativo. Nel nostro Paese, l’arte di scaricare le colpe su minoranze e “temi socialmente scomodi” è praticamente una disciplina olimpica. Ricordiamo ancora il DDL Zan, affossato da strategie interne, “non è il momento giusto e tanti discorsi su “cosa vuole davvero l’italiano medio, anche se l’italiano medio non è medio per forza, è italiano.

Proprio come negli Stati Uniti, anche in Italia si finisce spesso per incolpare gli ultimi per la perdita di consenso e imputare le disfatte alla classe del ceto medio e operaio che vota a destra.

Ma nessuno nell’apparato di partito si sogna di dire che è perché la sinistra vaga smarrita nelle paludi di un passato che ora non è più ne fattibile ne attendibile. Lo ha detto Renzi. Infatti, è fuori.

Tornando alle minoranze della cui difesa ad oltranza si è data colpa della disfatta democratica, Tom Suozzi, deputato democratico rieletto, ha dichiarato senza falsi pudori che i democratici devono smetterla di assecondare l’estrema sinistra e le loro idee radicali.

E sui Trans dice: “Non voglio discriminare nessuno, ma non credo che i transgender debbano giocare nelle leghe sportive femminili.” Traduzione: evitiamo di far arrabbiare l’elettorato, sui diritti si discuterà più avanti. Molto più avanti vista la vittoria repubblicana.

Segue a ruota il democratico Seth Moulton, che rincara la dose, spiegando che i democratici “passano fin troppo tempo a cercare di non offendere nessuno”. Per Moulton, papà di due figlie, il vero incubo è che si ritrovino in campo a giocare contro un atleta Trans, e che lui padre, in quanto democratico, debba avere paura a dirlo perché politicamente scorretto.

Ora, qualcuno si aspetterebbe che i democratici difendano i diritti dei Trans con fermezza, in nome di quella coalizione inclusiva che vanno sbandierando da anni. E invece no: sembrano presi dal panico, preoccupati di non far arrabbiare “i centristi” e, ironia delle ironie, finiscono per declamare proclami proprio come i repubblicani che criticano. Peccato che le elezioni siano terminate.

Qui la politica italiana non può che annuire: conosciamo la scena. Ogni volta che si parla di diritti LGBTQ+, in Italia c’è sempre qualcuno che solleva un sopracciglio preoccupato: “Ma l’Italia è pronta per questo?”. E non importa che i sondaggi dimostrino che la maggioranza degli italiani supporta almeno una parte delle proposte. Quando si tratta di diritti civili, da noi la risposta è sempre la stessa: calma, prudenza, non mettiamo a rischio i voti. E non stiamo parlando necessariamente delle destre.

Negli Stati Uniti, intanto, i repubblicani non si fanno problemi: per loro, i diritti Trans sono una delle pietre angolari della loro guerra culturale. Mentre i democratici balbettano quasi controvoglia sulle aperture mentali per non offendere nessuno, i repubblicani vanno dritti al punto: nei comizi di Trump e negli spot, la questione Trans è diventata un mezzo sicuro per mobilitare la base.

Più di 150 milioni di dollari sono stati spesi in pubblicità ‘anti-trans’ quest’anno. E i democratici? Hanno scelto di restare in silenzio o, peggio ancora, di fare piccoli commenti ambigui, sperando che la tempesta passasse. Non è stato così.

Negli Stati Uniti, dove tra critiche e confusione, anche un deputato democratico con il carisma di un ex atleta come Colin Allred, in corsa contro Ted Cruz in Texas, finisce per scivolare sulla retorica conservatrice. Cruz ha giocato facile: “Ragazzi e ragazze sono diversi.” E Allred, anziché rispondere con un appello ai diritti, ha tentato di ridimensionare: “Non voglio ragazzi negli sport femminili.” Si è allineato quindi ai proclami di Cruz. Troppo tardi, ha perso con un distacco di quasi 9 punti.

E così, mentre Kamala Harris ha perso in quasi ogni segmento elettorale e il partito democratico si frammenta come una bomba cluster, i Trans vengono macinati come “capri espiatori” utili per nascondere un disastro strategico.

Stiamo sempre  parlando di una tra le elezioni più importanti della storia degli Stati Uniti e contro un avversario con una lista di accuse penali da record, ma i democratici scelgono di puntare il dito della colpa, ad esempio, sui ragazzi trans che vogliono solo giocare a calcio.

In fin dei conti, scaricare le colpe sui giovani transgender è comodo. È una valvola di sfogo ideale per evitare di affrontare i problemi veri. Che sia negli Stati Uniti o in molti atri paesi a maggioranza di pensiero conservatore, il copione è sempre lo stesso: sacrificare i diritti delle minoranze è più semplice che prendersi la responsabilità di un progetto politico che miri all’inclusione ad oltranza contro ogni volontà popolare.

Se c’è una lezione da imparare, è questa: anziché continuare a cercare scuse o capri espiatori, la politica potrebbe finalmente ascoltare le istanze di chi chiede soltanto giustizia ed equità.

E non sono necessariamente le minoranze.

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