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Trentino

Sacramenti negati: la comunità si spacca sttorno a Don Michele

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Di fronte all’altare, ma con la porta chiusa. È questa la sensazione che provano molte famiglie dell’Alta Val di Non da oltre un anno e mezzo. La causa? Le rigide regole imposte da Don Michele Vulcan, parroco della zona, che ha deciso di rivoluzionare il percorso di preparazione ai sacramenti, lasciando dietro di sé una comunità divisa tra indignazione e silenziosa accettazione.

Non si tratta di semplici cambiamenti organizzativi: i bambini che non rispettano determinati criteri non possono accedere alla Prima Comunione o alla Cresima. Un colpo duro per molte famiglie, che si trovano smarrite di fronte a imposizioni che non trovano riscontri ufficiali nelle direttive della Chiesa cattolica.

Le regole sono chiare e inderogabili: obbligo di partecipazione alla Messa settimanale (il sabato o la domenica), incontri mattutini prima della scuola e un’ora settimanale di catechesi. Il punto cruciale, però, è la frequenza alla Messa: chi non è presente con costanza viene escluso dai sacramenti. Un criterio selettivo che ha sollevato interrogativi e proteste, ma che Don Michele difende con fermezza.






“In questo anno e mezzo abbiamo solo preparato il terreno,” ha dichiarato il parroco durante un incontro con i genitori. “Qualche risultato c’è stato: alcuni bambini hanno imparato le preghiere fondamentali.” Parole che, però, non bastano a placare la crescente frustrazione di chi si sente vittima di un esperimento ecclesiastico più che protagonista di un cammino di fede.

Il malcontento è ormai palpabile. Molti genitori si sono rivolti alla Curia di Trento in cerca di risposte, ma hanno ricevuto solo silenzio. Nel frattempo, i loro figli osservano con amarezza i coetanei di altre parrocchie ricevere i sacramenti senza ostacoli. “Perché noi no?” chiedono, senza ottenere risposte.

Alcune famiglie hanno provato a rivolgersi ad altre parrocchie per aggirare il blocco imposto da Don Michele, ma senza la sua autorizzazione ogni tentativo si è rivelato vano. Anche tra i sacerdoti della zona regna l’imbarazzo. “È una situazione difficile,” ammettono alcuni a bassa voce, divisi tra il rispetto della gerarchia e la solidarietà verso i fedeli in difficoltà.

Quello che doveva essere un percorso di crescita spirituale si è trasformato in un terreno minato. Molti genitori parlano apertamente di ricatto morale. C’è chi ha deciso di abbandonare gli incontri, chi non mette più piede in chiesa, chi si sente costantemente sorvegliato. Secondo alcune voci, infatti, ci sarebbero fedeli incaricati di segnalare a Don Michele chi è presente e chi no alle Messe. Una fede vissuta come controllo, più che come scelta.

A tutto questo si aggiungono i cosiddetti “Family Day”, incontri mensili nei quali i genitori sono invitati a riflettere sul proprio rapporto con la fede. Un’iniziativa che sulla carta potrebbe sembrare arricchente, ma che molte famiglie percepiscono come un’ulteriore imposizione. “Sembra un catechismo per adulti, più che un dialogo,” racconta una madre. “E se non partecipi, tuo figlio rischia di rimanere indietro.”

Le domande restano sospese: Chi ha autorizzato questo percorso sperimentale? Qual è il criterio oggettivo per valutare la preparazione dei bambini? Ci saranno garanzie per evitare altri rinvii arbitrari? Nemmeno la Curia, interpellata più volte, ha fornito risposte ufficiali. E così, la sensazione sempre più diffusa è che questa non sia più una questione di fede, ma di potere.

La frattura nella comunità è evidente. Pochi sostengono Don Michele, convinti che serva rigore per formare veri cristiani. La maggioranza, invece, si sente tradita, esclusa. “Non ci sentiamo più parte della comunità,” confessa un padre. “E i nostri figli pagano per decisioni che non capiamo e che nessuno spiega.”

E intanto, a rimetterci sono soprattutto i bambini. Lontani dai sacramenti, lontani da un senso di appartenenza che avrebbe dovuto essere loro garantito. Perché la fede, prima ancora che un impegno, dovrebbe essere un abbraccio, non un ostacolo.

Questa è la Chiesa che vogliamo? Una Chiesa che seleziona invece di accogliere, che impone invece di accompagnare? Forse è tempo di fermarsi, di ascoltare. Di rimettere al centro non la disciplina, ma le persone. Perché la fede, quella vera, non si misura a presenze, ma a cuori che battono insieme.

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