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Ragazzi senza limiti, docenti con i lividi: il bullismo nei confronti degli insegnanti

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Quando parliamo di bullismo nelle scuole, siamo soliti riferirci a quegli atti di prevaricazione che osserviamo tra ragazzi, a quelle prepotenze solitamente messe in atto ripetute volte da parte di un bambino, il cosiddetto bullo (o gruppo di bambini) nei confronti di un altro bambino, la vittima.

Ultimamente le vittime di tali prepotenze non sono solo i bambini ma gli insegnanti.

Negli ultimi tempi nelle scuole italiane si stanno verificando episodi terribili: casi di violenza, minacce, aggressioni fisiche e verbali e bullismo vero e proprio nei confronti dei docenti.

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Un esempio è un video che ha fatto il giro del web in cui un ragazzo (probabilmente delle superiori) aggredisce verbalmente un professore e con tono arrogante gli chiede di farsi mettere sei in un compito. Nel video, lo studente oltre ad offendere con insulti indicibili il professore, tenta addirittura di strappargli con forza dalle mani il tablet in cui era stato inserito il suo pessimo voto e intima al professore di inginocchiarsi di fronte al suo cospetto, ripetendo più volte: “Chi è che comanda qua?”        

Già, bella domanda. Chi dovrebbe comandare? Il professore o l’alunno? Chi impartisce l’educazione o chi la riceve?

Più che di bullismo, si potrebbe parlare di vero e proprio mobbing contro una categoria, quella degli insegnanti, ormai da tempo umiliata e delegittimata sia dal punto di vista culturale che economico.

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Sulle spalle dei docenti c’è ormai da diverso tempo una pressione verbale e psicologica molto pesante anche da parte dei genitori degli stessi alunni, pronti a difendere a spada tratta i propri figli dalle ingiustizie dell’educazione.

Con l’avvento dei social si vedono sempre più genitori coalizzare le proprie forze all’interno di gruppi in cui avvengono scambi di lamentele sul trattamento scolastico riservato ai figli, pretendendo spesso di sapere come si insegna.

Si sta purtroppo sempre più assistendo al declino di prestigio della figura del docente. Se un tempo l’insegnante era una figura rispettata e a volte anche temuta, gli studenti di oggi si sentono in diritto di avere con i propri docenti un rapporto alla pari, non rispettando la giusta gerarchia di ruoli. 

Difficile ricercare le cause di tale fenomeno.

Possiamo prendercela con le famiglie, con i genitori iperprotettivi di questo tempo e allo stesso tempo sempre troppo assenti fisicamente e affettivamente perché assorbiti dal lavoro e dal dover in un certo senso rispettare le richieste di una società oggi sempre più esigente, una società che ci inganna facendo nascere in noi bisogni in realtà insignificanti ed inutili.

Ci preoccupiamo fin troppo spesso di regalare ai nostri figli il telefonino di ultima generazione piuttosto che ritagliarci del tempo di qualità per stare con loro, tempo che non solo farebbe bene a loro ma farebbe bene anche a noi stessi.

Possiamo prendercela con la società post-moderna in cui viviamo e con i “falsi bisogni” di cui ci inebria. Bisogni fittizi che non fanno altro che separarci, che allontanarci l’uno dall’altro, bisogni che non solo allontanano i genitori dai figli ma ci rendono sempre più competitivi e con la brama di raggiungere qualcosa che in realtà non ci appaga pienamente ma ci dà una soddisfazione soltanto illusoria e momentanea.

A questo proposito Zygmund Bauman parla della nostra società come di una società liquida, in cui viene meno il concetto di comunità a favore di un individualismo sfrenato, dove non esistono i compagni di vita ma tutti siamo nemici da cui guardarci. In questo individualismo mancano punti di riferimento, tutto è liquido, e le uniche soluzioni a cui aggrapparsi quando ci si ritrova privi di punti di riferimento sono l’apparire a tutti i costi e il consumismo.

Si diffonde dentro di noi sempre più il pensiero che se appariamo e abbiamo quell’oggetto all’ultima moda possiamo sentirci accettati dagli altri, dalla comunità, se anche mio figlio ha l’ultimo video gioco allora non sarà escluso dal suo gruppo di amichetti.

Purtroppo siamo incatenati. Assistiamo sempre più alla perdita di quelli che sono i veri valori che ci rendono una comunità sana in favore dell’oggetto vuoto che ci separa come individui.

Preferiamo la presenza dell’oggetto alla nostra presenza. Siamo sempre più assenti a noi stessi e agli altri, siamo assenti nelle relazioni e sempre troppo distratti dal superfluo.

L’assenza che si sente con più forza in questa nostra società è quella di cui parla Massimo Recalcati ovvero l’assenza del ruolo del padre, che potrebbe spiegare anche il perché dei comportamenti senza limiti degli alunni nei confronti dei docenti.

Il padre in questo caso viene inteso come interdizione, rappresenta secondo Recalcati, la negazione del desiderio incestuoso di Edipo. Il padre è colui che impartisce la Legge, colui che impone i limiti al comportamento del figlio e ne consente la separazione dalla figura materna, favorendo in lui lo sviluppo di una personalità autonoma.

Oggi la funzione del padre e della Legge sono in disfacimento con l’avvento della società capitalista che distrugge ogni ideale. 

I figli oggi fanno sempre meno l’esperienza dell’esistenza del limite e della Legge, con padri sempre più assenti nel loro ruolo di guida.

Se pensiamo a qualche tempo fa, i figli un po’ temevano il ruolo del padre, basta ricordare quando le mamme, dopo che si combinava qualche marachella, dicevano con tono minaccioso: “Quando torna tuo padre vedrai!”

Oggi il potere dell’autorità paterna nei confronti dei figli sta venendo meno, il potere che ci permetteva di imporre la Legge e di farla rispettare, che permetteva ai figli di sentire una gerarchia in famiglia e di portare rispetto per chi si trova nelle posizioni al di sopra della loro.

Oggi, quello che impedisce ai genitori di imporre il rispetto per questa gerarchia da un lato potrebbe essere l’idea sbagliata che sta prendendo sempre più piede nelle famiglie che “bisogna essere amici dei figli”, dall’altro è il senso di colpa.

I genitori costretti a lavorare entrambi per soddisfare le esigenze inculcate loro dalla società, si ritrovano a passare sempre più tempo fuori casa delegando così l’educazione dei figli a qualcun altro. Questo inevitabilmente porterebbe loro a sentirsi in colpa e a compensare il loro senso di colpa cercando di riempirsi e riempire i propri figli con oggetti, adottando atteggiamenti più permissivi nei loro confronti, evitando ai figli di fare esperienza anche di quei “NO” che li aiuterebbero a percepire l’esistenza dei limiti e a nutrire il rispetto verso figure, quali quelle genitoriali in questo caso, che in una gerarchia si trovano al di sopra della loro posizione.

I figli di oggi dunque fanno meno esperienza del limite e della Legge, sono pieni di oggetti e non rispettano le gerarchie.

In un contesto del genere come possono nutrire rispetto per figure, quali quella del docente?

A tutto ciò, ci sarebbe da aggiungere anche il cambiamento che il ruolo dell’insegnante ha avuto nel corso del tempo.

Se pensiamo agli insegnanti del passato e al loro modo di impartire l’educazione, non possiamo non ricordare la sensazione di timore che suscitavano. Basti ricordare che il simbolo per eccellenza dell’insegnante era la bacchetta, usata come oggetto didattico e allo stesso come strumento punitivo.

In passato nelle scuole infatti, agli alunni non mancavano le umiliazioni fisiche e psicologiche, pensiamo alle tirate di orecchie, al castigo del dover indossare le orecchie di asino se si sbagliava una domanda o all’isolamento dietro la lavagna.

Se noi provassimo a fare un confronto storico, è sicuramente una fortuna che agli insegnanti è oggi interdetto l’uso della violenza come metodo punitivo perché oltre ai danni fisici, queste punizioni innescavano gravi traumi psicologici nella fase della crescita.

Il sistema di punizioni fisiche fortunatamente, è stato sostituito gradualmente con metodi pedagogici e psicologici più adatti al percorso di sviluppo dei più giovani, in cui il bambino viene premiato quando assume un comportamento lodevole e punito quando infrange le regole che gli vengono imposte.   

Questo però non dovrebbe legittimare l’uso della violenza nei confronti dell’insegnante da parte di genitori e alunni, perché oggi la situazione sembra addirittura ribaltarsi.

Quello che manca oggi è il rispetto verso la figura dell’insegnante. I genitori e i presidi spesso sottovalutano e giustificano episodi di aggressione e violenza degli alunni etichettandoli come marachelle.

I professori vengono spesso “condannati” per i brutti voti ricevuti dagli alunni e allo stesso tempo divengono spesso i maggiori “colpevoli” del degrado dei comportamenti dei ragazzi e della mancanza di competenze che questi ultimi si ritrovano ad avere quando si affacciano al mondo del lavoro. 

Il ruolo di insegnante sta continuando a subire una triste decadenza, spesso si ritrova infatti a dover limitarsi a fare da “baby-sitter” ad adolescenti e bambini per non incorrere in minacce e aggressioni.

Ma se la figura che ha il dovere di formare la società del domani, la futura classe dirigente, i futuri medici e tutti quei giovani che un giorno diverranno adulti con doveri e responsabilità, sta decadendo e perdendo il suo potere, chi penserà a forgiare e a formare le menti a cui affideremo la nostra società?

Il contributo per La Voce di Bolzano è della dottoressa Giovanna Parente, Psicologa Psicoterapeuta libero professionista specializzata in Gestalt e Analisi Transazionale, Psicologa scolastica presso l’Istituto Pluricomprensivo di Brunico-Val Pusteria.

 

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