Italia ed estero
Quando il vescovo Morlino difendeva la bellezza nella liturgia
Come certo saprete, il 24 novembre è morto il vescovo di Madison (Wisconsin) Robert Morlino.
Aveva settantuno anni ed era un pastore di grande fede, innamorato di Dio, della Chiesa e della liturgia.
Un pastore coraggioso, che non aveva paura di andare controcorrente rispetto alla mentalità dominante sia nella società sia nella Chiesa.
Di recente aveva detto che le domande poste dall’ex nunzio negli Usa Carlo Maria Viganò dovrebbero essere prese molto sul serio e invitò la Chiesa a chiarire che quelli che vengono normalmente dipinti come problemi di pedofilia sono in realtà nella maggioranza dei casi problemi di omosessualità e riguardano il peccato di sodomia.
Chiamato in America «the extraordinary ordinary», l’ordinario straordinario, perché celebrava la Messa nella forma straordinaria, in latino, il vescovo Morlino nel 2011 scrisse un articolo che voglio qui riproporre in alcuni suoi passaggi.
Riguarda proprio il tema della liturgia e del rapporto ineliminabile tra bellezza e verità:
«Cari amici, di recente il nostro continuo rinnovamento liturgico nella diocesi di Madison ha provocato un ampio dialogo. Abbiamo fatto notizia perfino a livello internazionale: infatti un blog spagnolo si è occupato della nostra realtà locale. È molto difficile per me pensare che l’attività di un vescovo, che guida la sua diocesi cercando di mettere a punto l’attuazione della corretta interpretazione del Vaticano II, possa diventare una notizia di livello internazionale. Tuttavia la circostanza dice molto del mondo in cui viviamo, nel quale le dimostrazioni di anarchia prevalgono sul ragionevole esercizio dell’autorità legale».
Spiegando poi di voler precisare meglio le sue scelte liturgiche, il vescovo scriveva: «La liturgia, come il culto che lo Spirito Santo ha donato alla sua Chiesa, nelle celebrazioni richiede sempre la bellezza. Dall’implementazione, spesso sbagliata, del Concilio Vaticano II (quasi cinquant’anni fa), sono scaturite molte liturgie meno che belle. A questa affermazione, il nostro paese e la nostra cultura rispondono immediatamente che “la bellezza è negli occhi di chi guarda” e che “tutto è bello a modo suo”. La nostra cultura, che ha cercato di relativizzare tutto ciò che è importante per l’uomo, sostenendo che è la natura umana a non avere una natura, si comporta così anche nel caso della bellezza. Ma la bellezza, dal punto di vista della ragione, non è semplicemente negli occhi di chi guarda. Perché la ragione ci dice che bellezza, bontà, verità e unità sono intercambiabili; quindi, tutto ciò che è bello è anche buono e vero ed esprime unità e armonia».
«La bellezza – scriveva ancora il vescovo – non può mai essere ridotta a indicatore di ciò che piace alla maggioranza della gente da qualche parte. Il fatto che la nostra parrocchia durante la liturgia ami cantare una certa canzone non rende di per sé bella quella canzone. Essere belli, infatti, è essere buoni e veri».
«Bello significa, in primo luogo, incarnare la verità. Alcune delle canzoni che cantiamo durante la liturgia contengono testi che chiaramente non sono veri. Per esempio, la canzone All Are Welcome [Tutti sono benvenuti]».
Questa canzone, spiegava Morlino, fin dal titolo dà l’impressione che la scelta per la Volontà di Gesù Cristo, come ci è pervenuta attraverso la Chiesa, non faccia differenza; ma «nulla potrebbe essere più lontano dalla verità».
Si può dunque dire che la canzone Tutti sono benvenuti non è bella in quanto non appropriata all’uso liturgico.
Nella liturgia un contenuto deve essere vero perché possa essere bello. E, se è vero, è anche buono.
«Il bello deve incarnare ciò che è vero, ma anche nobilitare la nostra natura umana come fatta a immagine e somiglianza di Dio».
Dobbiamo renderci conto che l’autentica bellezza è legata in modo inscindibile alla verità e alla bontà. «Poiché è la fonte e il vertice delle nostre vite come seguaci di Cristo, la liturgia non deve mai essere nulla di meno che bella, bella in modo tale da evocare il corretto atteggiamento sacramentale di riverenza, bello come si addice alla nostra comunione con tutti gli angeli e i santi».
«Quindi, tutto ciò che faremo nei giorni, nei mesi e negli anni a venire, poiché sarà centrato sulla riverenza a Cristo, nelle celebrazioni liturgiche dovrà essere nientemeno che bello, riflettendo così la perfetta bellezza, l’unità, la verità e la bontà dell’oggetto della nostra adorazione, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo».
«Grazie per aver letto il mio intervento. Dio benedica ognuno di voi! Sia lodato Gesù Cristo!»
Nato il 31 dicembre 1946 a Scranton (Pennsylvania) e rimasto presto orfano di padre, Robert Morlino avvertì una vocazione precoce, grazie anche, raccontava, all’esempio di alcuni sacerdoti e alcune suore.
Ordinato nel 1974 con la Compagnia di Gesù, sette anni più tardi lasciò i gesuiti e fu incardinato come prete diocesano a Kalamazoo (Michigan). Nel 1999 Giovanni Paolo II lo nominò vescovo di Helena (Montana) e nel 2003 di Madison, la diocesi nella quale ha servito fino alla morte.
Nei quindici anni trascorsi a Madison Morlino ha avuto tra le sue priorità, oltre alla liturgia e alla difesa della vita umana dal concepimento, la crescita delle vocazioni sacerdotali. E in effetti durante il suo ministero episcopale le vocazioni sono aumentate in modo significativo, con un andamento sorprendente rispetto all’epoca di crisi.
Quando uscì Amoris laetitia, Morlino ribadì l’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e si oppose ai tentativi di cambiamento dottrinale sul tema dell’accesso alla Comunione da parte dei divorziati risposati civilmente. «Solo ciò che è vero – spiegò – può essere in definitiva pastorale».
Durante la crisi dell’estate scorsa dovuta agli scandali sessuali nel clero scrisse alla diocesi una lettera nella quale denunciò l’esistenza «all’interno della gerarchia della Chiesa cattolica di una subcultura omosessuale che sta portando grande devastazione nella vigna del Signore».
Ammonì: non bisogna mai cadere nella trappola di ciò che «la società potrebbe trovare accettabile o inaccettabile». Significherebbe «ignorare che la Chiesa non ha mai ritenuto nulla di tutto questo accettabile: né l’abuso dei bambini, né l’uso della sessualità al di fuori del matrimonio, né il peccato di sodomia».
I funerali del vescovo Robert Morlino si sono celebrati il 4 dicembre nella chiesa di Santa Maria Goretti.
A cura di Aldo Maria Valli (blog)
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