Società
Prodotto l’ultimo maggiolino, addio a un mito popolare

Se in Italia si prova a riaccendere il mito dell’Isotta Fraschini, in Messico si spegne definitivamente quello del Maggiolino Volkswagen dove nella fabbrica messicana di Puebla veniva ancora prodotto.
La storia del Maggiolino o del Maggiolone a seconda delle versione inizia nel 1937, quando Adolf Hitler decide di produrre una macchina del popolo: spaziosa, resistente, economica, doveva diventare la macchina più diffusa in Germania.
Un’idea che fu poi ripresa dalle amministrazioni comuniste che produssero in ogni stato una macchina per il popolo: la Lada Zighulì in Russia, la Dacia in Romania, la Trabant in Polonia, solo per citare i modelli più diffusi e noti.
A fondare la Volkswagen furono l’ingegner Ferdinand Porsche, Bodo Lafferentz, dirigente dell’organizzazione per il dopolavoro (KdF) del potentissimo sindacato unico tedesco dei lavoratori e Jacob Werlin, consigliere personale di Adolf Hitler per le questioni automobilistiche.
Il capitale iniziale di 50 milioni di marchi tedeschi dell’epoca, pare sia stato messo a disposizione dal sindacato DAF ( Deutschen Arbeitsfront), organismo che doveva rendere conto solo al capo del partito nazionalsocialista , Adolf Hitler.
Fu un successo tanto che il modello sopravvisse agli eventi bellici, diventando parte fondante del quarto gruppo automobilistico tedesco con Mercedes, Audi e Porches.
Ma restò sempre la macchina del popolo, non fu mai accompagnata dall’idea che potesse essere una macchina di lusso. Fondamentalmente non cambiò mai modello: motore posteriore e bagagliaio col classico “maniglione” anteriore, caratteristici parafanghi bombati.
Il Maggiolino diventò anche la macchina degli hippy o di chi voleva vivere oltre gli schemi: mitico il bicchiere inserito in un anello di metallo che conteneva una margherita.
Poi ci fu il restyling e il Maggiolino fu riportato in produzione. Potremmo dire una macchina, un mito col modello cabrio degli sessanta che vale una fortuna ed ancora di più la versione bicolor.
E’ vero che la produzione messicana era limitata all’America Latina, ma manteneva vivo un modello che ha fatto non solo la storia dell’automobilismo, ma anche quella delle generazioni che si sono succedute dagli anni trenta agli anni ottanta.
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