Italia ed estero
Povertà lavorativa, Italia maglia nera nel mondo: ecco quanto serve al mese per vivere con dignità
I lavoratori poveri sono spesso giovani (16-34 anni), donne, stranieri, lavoratori autonomi, o sottoposti a contratti atipici, o a part-time involontari, o ancora over ’50 o ’60 che hanno perso il lavoro. In linea di massima, sono collocati al Sud e nelle piccole imprese.
Sono persone che nonostante abbiano un lavoro rimangono povere e fanno fatica a pagare gli affitti, a fare la spesa, a fare fronte a qualsiasi spesa imprevista. Persone che anche dopo la pensione (minima) vedono un futuro nero, incerto, spesso drammatico. Ed è proprio per queste incertezze e carenze che diventa difficile lo sviluppo della famiglia, della natalità, dello sviluppo e dei consumi e quindi della ricaduta del benessere sulla nostra società.
I lavoratori a rischio di bassa retribuzione in Italia sono il 12%: si tratta di circa 3 milioni di persone che guadagnano meno di 11.500 euro l’anno. 400mila di questi si sono impoveriti dopo la pandemia.
Se però si alza la soglia della povertà lavorativa di pochissimo, arrivando a 12mila euro annui, il numero di working poor arriva a rappresentare un terzo dei lavoratori. Solo nel settore privato, si attesterebbe tra il 20 e il 30% delle persone con un’occupazione retribuita.
Nel corso del 2022, in Italia, si è assistito a un aumento del numero di persone che si trovano al di sotto della soglia di povertà, raggiungendo la cifra di 5,6 milioni. Questo incremento non è stato determinato solo da fattori esterni come conflitti bellici o l’inflazione, ma anche da condizioni interne legate al mercato del lavoro, che offre sempre meno sicurezze.
Il concetto di “flessibilità“, spesso utilizzato dai datori di lavoro o dalle istituzioni, si traduce spesso nella realtà in “precarietà” per le persone coinvolte.
Ad esempio, il 14,7% delle famiglie operaie e l’8,5% di quelle con lavoratori autonomi si trovano al di sotto della soglia di povertà. Questo evidenzia come la precarietà del lavoro influisca direttamente sulla situazione economica delle famiglie.
Nell’ambito dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), l’Italia si distingue come l’unico Paese in cui i salari diminuiscono invece di aumentare, registrando una riduzione del 2,9% rispetto al 1990.
Questa diminuzione dei salari non è accompagnata da una riduzione del costo della vita, portando a una situazione in cui il reddito dei lavoratori non è più sufficiente per far fronte alle spese quotidiane.
È particolarmente preoccupante il fatto che, nel 50% delle famiglie in povertà relativa, è presente almeno un lavoratore, il cui reddito non è comunque sufficiente a coprire le necessità di base.
Nel frattempo, si osserva un aumento degli stipendi dei manager, con una crescente disparità salariale tra i dirigenti e gli operai.
Se nel 1980 i manager più pagati guadagnavano 45 volte la retribuzione degli operai, nel 2020 questa proporzione è aumentata in modo esponenziale, arrivando a 649 volte di più.
La Clean Clothes Campaign attraverso una metodologia parametrata ha calcolato quanto deve essere il salario “dignitoso” tenendo conto del costo della vita e guardando alla composizione familiare.
Ebbene, il risultato è che una persona che lavora 40 ore a settimana dovrebbe guadagnare 2mila euro netti al mese, 11,50 euro l’ora per poter così vivere dignitosamente.
L’aumento del costo della vita ha imposto una crescita di ben 95 euro rispetto al calcolo formulato appena un anno fa. Stando a queste cifre, però, l’Italia vedrebbe tre lavoratori su quattro al di sotto della soglia di povertà.
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