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Economia e Finanza

Pensioni alla guerra: così i nostri risparmi finiscono in missili e carri armati

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Chi pensava che il proprio TFR servisse a garantirgli una vecchiaia serena, si sbagliava di grosso. Oggi, sempre più fondi pensione europei stanno scoprendo un nuovo filone d’oro: l’industria bellica. E lo fanno con un cinismo disarmante, mentre le bombe cadono e i tagli al welfare colpiscono le fasce più fragili della popolazione. In prima fila c’è anche Laborfonds, il fondo pensione del Trentino-Alto Adige, che pare abbia molto da nascondere.

In tempi non sospetti, finanziare la produzione di armi era considerato eticamente inaccettabile. Ora, nel nome del “Readiness 2030”, il nuovo slogan del piano “Rearm Europe”, si presenta come “un servizio alla democrazia”. Tradotto: comprare missili e jet da combattimento con i soldi dei pensionati non è più uno scandalo, ma un dovere civico. E soprattutto, un affare redditizio.

I Paesi Bassi e la Danimarca guidano questa corsa all’oro armato. Il colosso olandese ABP, il più grande fondo pensione d’Europa, ha già investimenti robusti nell’industria degli armamenti e annuncia di volerli ampliare. Il fondo danese PFA Pension, con i suoi 120 miliardi di euro, si prepara a rimuovere i propri scrupoli etici per investire persino in aziende che producono componenti per armi nucleari. Ma c’è chi va oltre: “è una battaglia esistenziale per la democrazia”, dichiara con glaciale pragmatismo l’amministratore delegato di AkademikerPension, pronto a non escludere più armi chimiche o munizioni a grappolo.






E Laborfonds? Qui entriamo nel territorio dell’omertà finanziaria. A marzo, l’associazione di tutela dei consumatori Robin ha chiesto al direttore generale Sandro Pavesi chiarimenti sulla politica d’investimento del fondo. Le domande erano semplici e legittime: come viene rispettata la legge sul divieto di finanziare “armi controverse”? Laborfonds intende partecipare al riarmo europeo? Esistono criteri etici interni? La risposta? Nessuna. Silenzio assoluto. Né una spiegazione, né un atto di trasparenza. È così che si trattano i lavoratori che affidano al fondo i propri risparmi, convinti di garantirsi una pensione e non di finanziare carri armati.

Robin denuncia con forza questa opacità: i lavoratori hanno diritto di sapere se i loro soldi stanno alimentando guerre anziché costruire un futuro di pace. Non si può accettare che i fondi pensione, sostenuti anche da risorse pubbliche, diventino di fatto finanziatori occulti dei conflitti armati.

Ma la questione non è solo morale. Chi investe nelle armi oggi, taglia il welfare domani. Lo dicono gli esperti di povertà: ogni euro speso per un missile è un euro in meno per la scuola, la sanità, l’assistenza, il clima. L’aumento vertiginoso delle spese militari in tutta Europa sta già portando a tagli dolorosi nel sociale. E non è un caso. Si tratta di una scelta politica: smantellare lo Stato sociale per costruire uno Stato militare.

Robin lancia un appello accorato: “La pace non è solo una questione etica, ma anche economica. Se volete risparmiare, esigete che i vostri soldi non finanzino la guerra.” I fondi pensione devono tornare a servire le persone, non le industrie belliche. Serve trasparenza, controllo, responsabilità. E soprattutto, serve il coraggio di dire che la guerra non è un investimento. È una sconfitta.



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