Benessere e Salute
Lutto genitoriale: il dramma di perdere un figlio

La morte di un figlio, specie se in tenera età, è una delle tragedie più grandi che si possano affrontare nella propria vita, una perdita contronatura e alla quale è difficile rassegnarsi o fornire una spiegazione accettabile. Di fronte a questo immenso dolore sono in molti a chiedersi come possa reagire un genitore.
Per qualunque condizione umana, lieta o triste che sia, esiste un termine necessario per trovare un riconoscimento e accoglimento nella società e contribuire all’elaborazione del vissuto. La comunità funge infatti da contenitore delle nostre emozioni e le identifica anche attraverso un ruolo.
Se si perde la moglie si rimane “vedovi”, quando muoiono i genitori si diventa “orfani”, ma se è il genitore a perdere il figlio, come ci si può identificare? In tutte le lingue europee, purtroppo, non esiste un termine specifico e spesso viene utilizzata l’accezione “orfano di figlio”.
Una sofferenza senza nome in cui, per il genitore, può diventare persino difficile trovare una propria collocazione sociale. Insistendo nel cercarla, la descrizione più confacente alla condizione di sofferenza del genitore in lutto è stata identificata attraverso la parola in lingua Sanscrita “Vilomah”, che letteralmente significa “contro l’ordine naturale”, per indicare che la legge della natura vorrebbe che fossero i figli a sopravvivere ai genitori.
Dal punto di vista psico-sociale il lutto di un genitore è, quindi, un’esperienza molto complessa e racchiude al suo interno una moltitudine di emozioni come senso di colpa, rabbia, tristezza e smarrimento.
Per il genitore è molto importante imparare gradualmente a elaborare il proprio vissuto accettando e riconoscendo le proprie emozioni, ma soprattutto concedendosi il tempo e il diritto alla sofferenza. Un’esperienza di perdita non elaborata può, infatti, portare allo sviluppo del lutto patologico con conseguente danno psichico, caratterizzato da un permanente calo dell’umore o vissuti di ansia con alterazioni comportamentali e di pensiero. Il genitore può, infatti, sviluppare pensieri ossessivi legati alla perdita, autocritica e un forte senso di colpa.
Ed è proprio il senso di colpa lo stato d’animo più comune in caso di perdita di una persona cara, che può manifestarsi con pensieri quali “Se avessi fatto…”, “Se fossi stato …”, in cui ci si interroga sulle possibili responsabilità e interventi che avrebbero potuto salvare il proprio bambino.
In questo modo si fatica a riconoscere la frustrazione dell’impotenza e si rimane ancorati al pensiero o all’illusione di poter cambiare le cose.
Un percorso di sostegno psicologico può aiutare la coppia genitoriale a uscire da questo circolo vizioso e insegnare a praticare il perdono verso sé stessi, a percepirsi come genitori “sufficientemente buoni” e alleviare il peso della pretesa di perfezione e del senso di onnipotenza, aprendo le strade a un’elaborazione funzionale, che sebbene dolorosa, possa aiutare a trovare un significato all’accaduto e ad andare avanti.
Il contributo per La Voce di Bolzano è della Dott.ssa Alice Panicciari, psicologa dell’infanzia e adolescenza, esperta in Psicologia Scolastica e Disturbi Specifici dell’Apprendimento, svolge percorsi di sostegno e aiuto alla genitorialità.
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