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L’assalto alla diligenza dei parenti delle “vittime”

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Nemmeno il tempo del riconoscimento ufficiale del cadavere in obitorio del rapinatore investito ed ucciso dall’imprenditrice balneare viareggina Cinzia del Pino, che spuntano i parenti, le sorelle, dal Marocco, che per anni si sono disinteressati di quell’uomo, clandestino e pregiudicato in Italia.

Chiedono giustizia, ma è più ragionevole pensare – chiaramente è una personale presupposizione – che busseranno più prosaicamente a danari.

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Un deja vu, un film visto e rivisto più volte quello dei parenti di delinquenti stranieri in Italia che, quale prevedibile incerto del mestiere, hanno trovato la morte sul “posto di lavoro”  a (con)causa della loro poco onorevole attività.

I precedenti.

Franco Birolo, tabaccaio nel Padovano condannato nel 2018 a risarcire i parenti moldavi del ladro ucciso per eccesso di legittima difesa a 325mila Euro; Mario Roggero, gioielliere di Grinzane Cavour, ancora sotto processo, si è visto chiedere dai parenti dei due rapinatori uccisi e del terzo ferito la somma di 2 milioni e 885mila per le sole provvisionali; Ermes Mattielli, il rigattiere disabile di Arsiero,  è stato condannato a risarcire ai parenti del ladro ucciso per eccesso di legittima difesa  Euro 135mila ed ha venduto tutto quello che possedeva; decisamente meglio alla guardia giurata Marco Dogvan che nel veneziano sventò una rapina  sparando e ferendo uno dei quattro rapinatori armati: dovrà sborsare solo 10 mila euro.

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Non sono esenti da guai anche le Forze dell’ Ordine: ad esempio l’ appuntato dei Carabinieri Mirco Basconi che per salvare i colleghi sparò ad un suv che stava saltando un post di blocco uccidendo per ritenuto eccesso di legittima difesa un pregiudicato albanese , dovrà sborsare ai parenti la somma di 2, 5 milioni di Euro di risarcimento.

A qualcuno è andata invece bene. Graziano Stacchio, il benzinaio eroe che svento’ una rapina alla gioielleria  Zancan dirimpetto alla sua stazione uccidendo un rom rapinatore, dopo anni di calvario giudiziario e spese ingenti di difesa, in gran parte coperte dalla solidarietà popolare, è stato assolto ed i parenti del morto sono rimasti a bocca asciutta.

Stacchio e il gioielliere Zancan però continuano a ricevere lettere anonime con minacce di morte, specie il primo perché “doveva farsi i fatti suoi”. E’ andata bene anche a  Mario Cattaneo, oste del Lodigiano, che nulla dovrà ai parenti del romeno ucciso durante una colluttazione che ha semidistrutto la sua osteria. Ha però sborsato € 90 mila per difese legali e perizie e 20 mila euro per rimettere a posto il locale.

A qualcuno è andata decisamente peggio. Ci ha lasciato la pelle il meccanico bolognese Quinto Orsi, investito dall’ auto di un cliente rubata nella sua officina da un bosnicaco 23 enne pregiudicato che lo ha investito ed ucciso.

Il delinquente, condannato a 16 anni in primo grado, si è visto ridurre la pena a 5 anni e 8 mesi ed è stato posto in libertà dopo 4 anni. Nessun risarcimento ai parenti di Orsi.

C’ è infine chi una vita non ce l’ ha più: è il caso di Francesco Sicignano, pensionato di Vaprio d’ Adda vicino a Milano che uccise in casa nel 2015 un rapinatore di origini albanesi. Assolto nel 2017, sarebbe tutt’oggi sotto minaccia dalla famiglia d’origine in Albania che gli ha scagliato contro il tribale “kanun” ossia l’ anatema “vita per vita” (leggi qui)

Questi casi sono passati pressoché sotto silenzio e ciò è indecoroso e vergognoso per chiunque.

Il mio personale commento a queste situazioni è che, se è vero ed è legge che ogni reato comporta un risarcimento alle vittime, intesi anche quali parenti, occorrerebbe verificare in primo luogo la legittimazione di essi a chiedere, che andrebbe sempre esclusa se dell’ attività delittuosa il parente è a conoscenza o, peggio, ne ha comunque profittato  o nel caso in cui  si è sempre disinteressato del congiunto ucciso.

Certamente dovrebbero essere riviste in questo senso le regole sulla costituzione di parte civile nel processo penale e con onere della prova a carico di chi si costituisce.  In attesa di questa riforma che ritengo doverosa e di civiltà, il giudice penale può sempre valutare le richieste in base al noto principio della compensatio lucri cum damno, cioè negare o ridurre le richieste qualora  queste comportino un ingiustificato arricchimento.

Nel caso delle sorelle che per trent’ anni hanno ignorato il fratello, come se non esistesse, il dovuto dovrebbe essere liquidato in maniera simbolica, come sembra essere stata la loro solidarietà famigliare verso il fratello.

 a cura di Stefano Sforzellini

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