Gastronomia Trascendentale
LAMBRUSCO AWARDS 2018: al Valli, premi a buoni lambruschi e premi “alla carriera”.
È stata, per il vostro Diletto Sapori, una bellissima rimpatriata, nella terra che gli diede i natali!
Infatti, mentre la sua genealogia getta le sue origini in Termenago, Val di Sole, la nascita avvenne in quel di Reggio Emilia: ed ecco la beata congiunzione…
Mentre a Rovereto Mozart dona le sue melodie e con l’Associazione Mozart Italia diffonde il genio del Maestro, e nelle valli trentine si degustano Teroldego e vini del Reno ben acclimatati, a Reggio Emilia… “La Traviata” di Giuseppe Verdi fa da colonna sonora alla soirée di gala che ha assegnato il 27 settembre al teatro Valli di Reggio Emilia, i primi Lambrusco Awards, in occasione della nona edizione del Concorso enologico Matilde di Canossa, Terre di Lambrusco.
Ecco i nomi dei vincitori degli ambiti riconoscimenti:
Colli di Scandiano e di Canossa Doc ecco il Lambrusco Grasparossa Secco 2017, prodotto da Cantine Due Torri nella Val d’Enza.
Doc di Modena ecco il Lambrusco Spumante Dry “Sassomoro” 2017, prodotto da Cleto Chiarli Tenute Agricole.
Sorbara Doc il premio va alla “Linea 1907 Riò” 2017, prodotto dalla Cantina Sociale di San Martino in Rio.
Grasparossa di Castelvetro Doc the winner is “Nivola” 2017, abboccato prodotto da Chiarli 1860.
Mantovano Doc ecco il semisecco “Rays – Capsula Nera” 2017 dell’Azienda Agricola Montaldo di Gian Paolo Virgili.
Reggiano Doc vince “I Quercioli” 2017 secco di Medici Ermete & Figli.
Emilia Igt medaglia allo spumante Dry “Marcello – Millesimato” 2017 di Ariola Vigne e Vini.
Igp Provincia di Mantova primo posto per il semimsecco “Al Scagarün” 2017 delle Cantine Lebovitz.
Premio speciale all’etichetta più interessante, assegnato dalla stampa presente al vino delle Cantine Ceci Emilia Igt Lambrusco Spumante Brut 2017 “Bruno”. I vincitori degli awards, insieme agli altri finalisti, sono inclusi nella nuova guida “Terre di Lambrusco 2018”.
Dal 30 ottobre, poi, su Food network (canale 33 del digitale terrestre), il Lambrusco sarà anche in onda con un programma realizzato nelle sue terre di produzione.
Il volto iper-televisivo di Alessandro Borghese, conduttore della serata, ironico e simpaticamente distratto, è davvero “lambruschiano”: semplice, allegro, gradevole, adatto a tutti i palati.
Non brilla la sua interpretazione del prodotto, ma lui gli somiglia: il figlio di Barbara Bouchet, che io conobbi ragazzo nella sua casa romana, insieme al povero Gil Cagné e a Tiziana Luxardo, fotografa delle Miss Italia del periodo migliore, non si dilunga sugli aspetti tecnico-gastronomici del popolare vino, ma la spiccata intonazione romana della voce ne svela la lontananza.
Duecento ospiti e diversi giornalisti internazionali anche dagli occhi a mandorla sono presenti alla kermesse, introdotta da degustazioni molto appropriate di Parmigiano reggiano di Bibbiano del giugno 2016 (prezioso, difficile da trovare dato il successo e i prezzi che quell’estivo ottiene all’estero) con preziose perle di vero aceto balsamico reggano di 3 stagionature e cicli.
I politici presenti (il presidente della Regione Bonaccini, il sindaco di Reggio Vecchi, l’assessore al turismo Maramotti, con incarico regionale a un’area di destinazione turistica che appare in lei concetto magico e astratto, mentre è specifica cognizione di economia industriale del turismo) si accreditano dei risultati del lavoro di imprese e imprenditori.
Credono di sapere perché il PIL della Regione più ghiotta d’Italia sia cresciuto proprio in questo, ma non mostrano idee sul come fare a governarne la specificità, quali infrastrutture siano necessarie per non far cadere le terre emiliane in un caos veneziano o romano, con la crescita delle presenze turistiche…
Invece, aggiungono eventi a eventi, il lavoro più facile, anziché ragionare con creatività e senso del futuro su ciò che le specifiche amministrazioni dovrebbero curare, proprio nel turismo: programmazione, logistica, servizi, connessione con le popolazioni residenti, gestione dei flussi.
Niente da fare, non ne capiscono. Inoltre, si avverte la vicinanza di scadenze elettorali preoccupanti per loro, scadenze che rischiano di allontanarli dal potere dopo decenni, in quanto negli ultimi anni il loro ponte ha subito un vero crollo, come il Morandi: la cooperazione ha fallito, la finanza rossa barcolla, il partito non esiste più, il sindacato non ha più ruolo, l’ideologia non ne parliamo.
Sono rimasti con i “vuoti” delle pregiate bottiglie, che, invece, la creativa verve imprenditoriale, emiliana e oltre, continua a riempire di vino sempre migliore.
Il bello del Lambrusco è che quella sera, indossato l’abito da sera, eravamo tutti felici.
Venti tavoli sistemati sul palco del teatro, duecento ospiti, fra produttori, amministratori pubblici, rappresentanti dei Consorzi di Tutela e giornalisti, con una nutrita delegazione da dieci Paesi, dalla Corea del Sud al Canada, dal Giappone all’Australia.
Tutti accomodati per gustare la Bomba di riso firmata da Andrea Incerti Vezzani di Cà Matilde e una Guancia alla maniera di Gianni D’Amato del Caffè Arti e Mestieri, fra gli affreschi e gli stucchi del teatro Valli.
Il vero lavoro, serio, quello dell’economia, è testimoniato dal presidente della Camera di Commercio, Stefano Landi, che afferma, correttamente, rivolto ai numerosi produttori: “Voi ci offrite quotidianamente l’esempio di cosa significhi dare un profondo gusto al lavoro, di cosa significhi relazionarsi con i consumatori di tutto il mondo e di come un mestiere diventi passione e attaccamento al territorio”.
A partecipare al concorso, che per la prima volta quest’anno ha assegnato medaglie d’oro alle migliori etichette, sono stati 248 vini di 59 aziende.
Una commissione di sei enologi e un sommelier ha scremato, secondo il metodo dell’Union Internationale des Oenologues, cioè progressivamente, i 103 finalisti, in rappresentanza delle diverse denominazioni.
Il Lambrusco è per dimensione come pochi altri prodotti italiani, vero ambasciatore del food made in Italy: giganteggia, come il Parmigiano-Reggiano, il Prosciutto di Parma, il Prosecco veneto, la pasta…
E ha ancora ampi margini di crescita su nuovi e vecchi mercati mondiali, grazie al crescere della varietà delle produzioni e all’attenzione ai trend di consumo data dai produttori. E che sia un prodotto decisamente simpatico è evidente a tutti, nel mondo.
A parte il vostro Diletto Sapori, pochi, in particolare nella terra reggiana, hanno ragionato sulla grande varietà delle uve del ceppo Lambrusco, una piccola galassia… La civiltà modenese da secoli separa uve come Sorbara, Grasparossa e Castelvetro, e attua una vinificazione elevata, ormai tradizionale. Il rosso chiaro e raffinato nettare da Sorbara consolava già nel XVI secolo la corte estense, giunta a Modena esule da Ferrara.
A Mantova invece si mescola un poco tutto, anche la povera Lancelotta, grossolana, ma madre di colore e corpo, altrimenti destinata a dare tinta e tempra ai grandi vini francesi o, se c’è, la barbera: si capisce come gli eredi dei Gonzaga, spinti dal gusto nordemiliano e lombardo di Gutturnio e Bonarda, abbiano sempre prodotto un lambrusco rosso corposo.
I contadini, poi, versavano generosi getti di lambrusco nel brodo bollente (il “surbir”), insofferenti del calore di fronte alla fame dovuta al duro lavoro dei campi, anche se non va dimenticato l’elemento gustativo dell’acidificazione, che è tipica del gusto transpadano e non di quello di qua dal Po.
Parma col lambrusco si sveglia tardi: l’eroe è Ceci, ma il cavallo di battaglia dei parmensi è di sicuro l’aver colto la particolarità di un altro dei ceppi nobili dell’uva lambrusco, il Maestri, che, vinificato in purezza, sorprende, regalando naturalmente corpo e profumi tali da competere degnamente contro concorrenti quali le succitate Bonarda e Gutturnio.
E i reggiani? Tradizione contadina con blend (ma usare questa parola evoca selezione e composizione, mentre loro buttavan tutto insieme…) molto vario, finché la cultura produttiva li ha fatti reclutare signori enologi, a vedere il processo come fattore distintivo.
E hanno fatto centro, a dimostrazione che l’uva lambrusco è come la gente emiliana: adusa al lavoro, tenace, resistente, varia, fertile, e quindi naturalmente disposta a numerosi, riusciti esperienti manifatturieri.
Ma sia ben chiaro, i lambruschi reggiani sono figli di sana manifattura evoluta, e non di tradizione.
Ma mi sento orfano di un esperimento enologico ancora non tentato: la lavorazione in purezza del ceppo di lambrusco denominato Gianein Maran, il Marani…
Non mi ha sorpreso che queste considerazioni non siano emerse ai Lambrusco Awards 2018. E devo riconoscere che insomma dare dei premi “alla carriera” più che alla qualità del prodotto quest’anno ci stava.
Noi, già felici di questo 2018, attendiamo allora i Lambrusco Awards 2019, confidando in una manifestazione ancor meno colorata di vuota politica e ancor più colorata di civiltà enologica e storica. Vedrete che sarà così, e… anche per il Teroldego!
Parola di Diletto Sapori!
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