Gastronomia Trascendentale
La minestra di pesce ha la sua capitale mondiale. A Fano il XVII Festival internazionale del brodetto
“E lasciatemi divertire!”, diceva il poeta Aldo Palazzeschi riguardo a chi, come i poeti, mettono l’anima in ciò che fanno e magari non sono capiti
Carissimi lettori, voi forse anche non capite il gravosissimo peso umano di chiamarsi Diletto Sapori, ed essere, non per vostra scelta ma per volontà di prepotenti genitori (ché la mamma mi volle Diletto, mentre il padre si chiamava Sapori), costretto, vita natural durante, a dilettarsi di sapori…
Quindi la fatica di affrontare un intero festival di un unico (ma è davvero unico?) cibo: il brodetto abruzzese, veneto e marchigiano, caciucco livornese o viareggino, buillabaisse a Marsiglia, ciuppin o buridda a Genova, la zuppa di pesce alla siciliana, alla crotoniate, alla gallipolina, la ghiotta alla trapanese, la quatara di Porto Cesareo, la zuppa alla portoghese con il granchio, e poi all’irlandese e alla russa, o il suquet all’andalusa e alla catalana dove il pesce prima viene fritto, o ancora la bisque francese, la dashi (Giappone), la fanesca (Ecuador), l’halászlé(Ungheria), l’ucha (Russia), la waterzooi delle Fiandre…
Abbiate pietà, vi prego, amici di lettura: capite l’immane sofferenza del vostro Diletto?
Ma se questo è il mio destino, e virilmente l’accettassi, non resterebbe che renderlo utile a tutti, che almeno il mio… sacrificio, serva ad altri!
Veniamo, allora, a questo tappa della mia Via Crucis. Credevo che, come gli altri anni, il Festival del Brodetto si sarebbe svolto a Fano in settembre e, con l’intenzione di distrarmi da acuti impegni con le cucine emiliane, tra la sublime Clinica Gastronomica di Arnaldo (e il suo firmamento più che semisecolare di stelle Michelin) e l’eroismo del padre dei ristoratori bolognesi Palmirani nel salvare il suo Diana (dopo l’aggressione dei cotonari, che gli rubarono la vetrina), fuggii in incognito, usando il nome di Sergio Bevilacqua, nella ridente costa fanese.
Ah! Nessun impegno, finalmente! Il festival a settembre…: solo il mare e il cielo, il sole e, preziosissimo, l’anonimato!
Macché! Cartelloni mi assalirono già all’uscita dell’autostrada: il Festival mi aveva seguito e, per non darmi respiro, mi si era presentato in luglio, dal 4 al 7. Destino!
Ed eccomi nuovamente di fronte all’obbligo ereditario: dilettarmi di sapori. Una maledizione.
Feci allora, come spesso, buon viso a “cattiva” (si fa per dire…) sorte, e m’immersi nei miei doveri di cronaca gastronomica trascendentale.
Come sempre accade trovai aiuti, e cito i primi che la memoria mi propone: Otello Renzi, stupendo poeta del “sommelierato” e non solo, che ha curato la presentazione dei diversi Bianchello del Metauro che la “regìa” aveva disposto di abbinare ai 9 (nove) brodetti presentati, autore di un bellissimo libello di poesia enologica (insieme con Davide Eusebi, “Vini veri.
Viaggio nei sensi sulle orme di Mario Soldati”) e i due conduttori Notari e Quaranta, il primo carne viva e passione, il secondo una macchina di coscienza gastronomica, efficiente motore di concetti culinari e cultura alimentare.
Ma vediamo i protagonisti:
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Giorgio Barchiesi, alias Giorgione, con un brodetto che è servito da ouverture alla kermesse;
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Stefano Ciotti, patron di un ristorante pesarese finalmente suo, dove la qualità gastronomica si sposa con il perfezionismo di un locale calibrato nei materiali e quindi nell’esperienza conviviale, spostata su livelli molto virtuosi e sofisticati, con il “Nostrano” di Pesaro, stellato;
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Carmelo Carnevale, simpatico siciliano ambasciatore di tradizione e creatività italiana a Londra;
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Flavio Cerioni, fanese d.o.c., immancabile giocatore di casa, benché pedinato dalla grande qualità del brodetto fanese del ristorante Mosquito, non presente al Festival;
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Fabio Giorgini di Porto Recanati, coraggioso sfidante in duello del precedente;
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Jean Pierre Soria, brodettista alla vastese, in bianco col pomodoro fresco;
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Giorgio da Forno, punta di diamante della grande tradizione di pesce della laguna maranese;
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Andrea Mainardi, un simpaticone allenatosi in Tivù, conosciuto come Chef Maina, lucidissimo e sapiente;
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Daniel Canzian, ora milanese, ma vecchia conoscenza della montagna veneta, tra il Dolada e il Tivoli di Cortina d’Ampezzo.
Doveroso elenco: con gl’innesti d’entroterra tardo veneziano, come Mainardi di Bergamo ove il Leone di Venezia ruggiva agli Sforza, e Canzian neo milanese ma cresciuto sulle più belle Alpi dolomitiche cortinesi e dintorni, il Festival 2019 ha presentato una carrellata davvero esauriente del vero e proprio “brodetto”, nome diffuso in Adriatico per indicare la minestra di pesce in brodo, cioè quel piatto basato su un elemento liquido di base che lega pesci diversi (scelti, trovati, rimasti a seconda delle ricette e delle storie) e che si può presentare rosso (col pomodoro, ad esempio la conserva nel fanese) o bianco, come nel vastese.
Al di là dell’ex Golfo di Venezia, che condiziona l’identica definizione di “brodetto” che regge dal Friuli a Brindisi, la minestra di pesce cambia nome: “zuppa”, con un richiamo immediato alle fette di pane raffermo o anche leggermente croccante che s’inzuppano nel liquido generato dalla cottura e dalla manifattura, “cacciucco” che sembra derivare dal termine turco küçük, (che significa ‘di piccole dimensioni’), in riferimento ai piccoli pezzetti di pesce che compongono la zuppa, oppure, non senza problemi semantici, dallo spagnolocachuco, nome di una specie di dentice, usato anche per indicare genericamente il pesce, e ci fermiamo, anche perché, come accennato sopra, da Genova al Portogallo e alla Russia la lista sarebbe lunga.
E veniamo a noi, ai brodetti del XVII festival di Fano: riporto le impressioni di questo ciclo importante, soffermandomi sugli elementi più importanti emersi. Il primo a memoria è l’ottimo uso delle spezie e degli aromi, e in particolare dello zafferano, nel brodetto di Giorgini di Porto Recanati.
Il secondo è il generoso consiglio di Mainardi nella cottura della pasta di farine nobili “risottata” (mia definizione) cioè come un risotto, aggiungendo progressivamente liquidi (acqua, brodi, liquidi anche acidificanti come vino e aceti), in modo da non disperderne gli amidi, per ottenere cremosità, gusto del cereale e, alla fine, anche dell’accostamento ittico, ideale per i pesci di gusto delicatissimo.
Proviene da varie fonti delle 9 suddette la importanza dello scorfano, con la sua frammista natura di pesce-crosataceo. Stefano Ciotti insiste sulle cotture differenziate dei diversi tipi di pesce, saggio principio da applicare sempre.
Purtroppo, Daniel Canzian non viene ed è rappresentato con un poco di timidezza da due validi collaboratori che non lasciano molta impressione, mentre lui è un cuoco di grande carattere e di notevole esperienza di palati fini.
L’elemento internazionale, in questa edizione 2019, è lasciato al bravo Carmelo Carnevale, siciliano e portabandiera delle minestre di pesce in brodo italiche e non solo nella terra di Albione, sua capitale Londra. Ottima la sua interpretazione della Matalotta (a sua volta figlia di una zuppa francese di pesce e cipolla, di nome “matelote”) siracusana, abbinata con tartare di gambero e calamarata.
Ritorniamo da Otello Renzi per gli abbinamenti enologici: il Bianchello del Metauro è un certo tipo di Trebbiano abbastanza docile e resistente. Nato come beverino, incontra l’esperienza di una serie di cantine, tutte meritevoli (Cignano, Di Sante, Fiorini, Mariotti, Caudio Morelli, Terracruda, Fattoria Villa Ligi, Bruscia e Conventino) che lo portano a livelli di importanza inattesi.
Ottime produzioni, Otello non sbaglia, ma alcune più audaci e coraggiose, ed è su queste che mi soffermo, rischiando forse di essere riduttivo: ma non sono solo io, anche il tempo è tiranno e mi son dovuto affidare al “naso”. Quindi ecco a voi 2 case: Bruscia e Conventino. Coraggio nell’andare oltre con l’invecchiamento, fino a sfidare dei grandi vini come il Gavi o lo Chablis, per entrambe le cantine.
Su questo versante, soprattutto Conventino, che sgancia, in approfondimento con una mia visita, del Bianchello del 2009 e altro del 2012 sorprendendomi.
Anche perché il giovane imprenditore Mattia Marcantoni, sostenuto dalla famiglia, dimostra di avere nelle sue note la padronanza completa del business e anche una notevole sensibilità enologica. Bravo.
Ma anche Bruscia ha grandi qualità: la vastità della gamma, la comprensione del vino come prodotto sistemico, ove la degustazione apre a scenari diversi d’evocazione e cultura varia del territorio e di sinestesie. Ecco allora le altre arti, con eventi culturali in cantina che avvicinano a una produzione dalla storia concreta e solida, con le generazioni (Tullio e Dino, che aprono la via a Paolo, Davide, Stefano e Modestino) che lasciano strati di humus enologico che le nuove tecnologie saggiamente introdotte valorizzano, sotto l’occhio vigile di Paolo, anima della produzione.
Un Festival di grande eco mediatica sul web, di notevole spessore tecnico sui brodetti adriatici e sulle esperienze enologiche del Bianchello del Metauro, una vera scoperta in queste vinificazioni audaci e riuscite. Nonostante l’autorevole presenza apolide di Carmelo Carnevale, appare un poco allegra la definizione di Festival Internazionale: ma forse così deve essere, non prendiamoci troppo sul serio!
Il periodo appare anche azzeccato, dato un luglio fanese turisticamente appena un poco sottotono: certo, il tema è allettante e, con tutta l’attenzione che il mondo dedica alla civiltà gastronomica italiana, con un piccolo ulteriore investimento in comunicazione da parte delle istituzioni, ci si potrebbe permettere di farne un’attrazione globale e dunque dare alla economia turistica locale una briscola da giocare in bassa stagione, spingendo sull’internazionalità, sul Globale…
Un Brodetto Globale che interessi un poco tutti e che, ad esempio in ottobre o novembre, richiami da tutti i continenti esponenti di questa umanità gastronomica che trova nel pesce un proprio alimento centrale e nella sua minestra in brodo una forma principe di degustazione e consumo. Sarebbe anche una buona occasione per valorizzare il contributo di sponsor come DeguStazione, in grado di fornire “vagoni” di produzioni gastronomiche diverse con elevati standard qualitativi lontani dai litorali marini e dai tempi di vacanza. L’operazione d’internazionalizzazione vera non è semplice, e prevede diversi passi progressivi: una edizione “Europa”, una successiva “Eurasia”, una ulteriore “Italo-Americana” e, forse, un’ultima “Brodetto Globale”.
Coraggio. Un programma ambizioso come questo, peraltro doveroso a questo punto, trova nella XVII edizione compiutasi del Festival Internazionale del Brodetto di Fano, un avvio davvero incoraggiante.
Anche Diletto Sapori ne è convinto, perché tutto ciò che trascende la Gastronomia stretta lo interessa: altrimenti che Gastronomia Trascendentale sarebbe, la sua?
E… lasciatelo divertire!
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