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Mamma&Donna

La dolce storia di mamma Francesca e di sua figlia Chiara. L’autismo non deve fare paura

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Si chiama Francesca ed è la mamma di Chiara, una ragazza autistica di 17 anni e di altre due splendide figlie. Ci racconta la sua storia, a partire dal 2005 quando a Chiara viene diagnosticato l’autismo.

La parola autismo ha suscitato in me una sensazione di terrore fin dall’inizio perché come la maggior parte delle persone non ne sapevo nulla, né sul cosa significasse né sul come affrontare il tutto. Mi sono ritrovata spaesata e piena di dubbi e domande che purtroppo non avevano risposte“.

Oggi, nonostante i periodi difficili passati, mi reputo ancora una mosca bianca, fortunata perché sia alla scuola materna che dalla quarta elementare ho potuto ricevere un supporto scolastico degno di rispetto. Cosa non scontata per tutti, purtroppo.

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Come ti sei accorta che qualcosa non andava?

Tutto ebbe inizio con una visita al distretto sanitario, i controlli che normalmente si fanno per la crescita. Chiesi alla logopedista se la bambina fosse sorda, visto che ogni volta che la chiamavo non si girava e rimaneva sempre per i fatti suoi. In quella occasione lei fece una prima osservazione e mi disse che c’era qualcosa che non andava ma non quello che pensavamo noi. Non era sorda.

Le mie emozioni non riesco a descriverle in questo momento ma oscillavano tra la paura, lo sconforto e pregavo non ci fosse niente di grave, che fosse solo una fase che i bambini passano e che, essendo la mia prima figlia, non ero a conoscenza. Nel frattempo ero rimasta incinta della seconda e a novembre di quell’anno ho partorito. Non nascondo che ho vissuto con poca serenità quella gravidanza e quella nascita. Ne ero spaventata.

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Come si è evoluta la situazione?

Iniziammo tutto l’iter che ci aveva illustrato la neuropsichiatria ma eravamo ancora frastornati e all’epoca non c’era né il parent training (cioè la presa in carico della famiglia) né un aiuto psicologico che ci aiutasse ad affrontare questo mostro di cui non sapevamo niente.  Se c’era a noi nessuno lo aveva detto.

La prima valutazione vera e propria la fece la neuropsichiatra e le prime cure proposte furono psicomotricità e ergoterapia.

Come rispondeva Chiara alle terapie?

All’inizio una tragedia. Sentire la tua bambina di tre anni, dentro a quella stanza che piangeva o si lamentava non è stato per niente piacevole, anche se si fa per il suo bene. Che poi non ero sicura neanche di quello in quel momento ma così si doveva fare. Chiara rifiutava le terapie, non voleva entrare, non voleva collaborare poi, piano piano le cose iniziarono a cambiare.

Era palese che le mancava qualcosa: non parlava e non capiva le immagini. Continuammo le terapie per un po’ di mesi e la forza di affrontare il tutto arrivava dal fatto che ero convinta che con costanza, prima o poi, avrebbe imparato, che qualcosa sarebbe cambiato.

Come hai gestito la situazione?

Durante tutto questo l’altra bambina cresceva mentre io cercavo di dividermi in tre tra casa, figlie e lavoro. Con il passare del tempo però, mi sono resa conto che per seguire in modo coretto Chiara, avrei dovuto lasciare il lavoro. E così feci.  Grazie all’impegno di un gruppo insegnanti della scuola materna, che decise di mettersi in gioco nonostante la poca formazione (che manca tutt’ora) il periodo dai tre ai sei anni posso dire di averlo trascorso in modo tranquillo.

Chiara ha appreso molte abilità come quella di stare il più possibile con gli altri aspettando il suo turno e particolare attenzione è stata data allo sviluppo della motricità fine.

Cosa credi ti sia mancato, per aiutare Chiara al meglio?

E’ molto importante formare le insegnanti dell’asilo e delle elementari riguardo i bambini con autismo. Il periodo che va dai tre anni ai dieci anni è fondamentale per l’apprendimento dei normodotati, figuriamoci per chi ha questa sindrome. Per quello che riguarda la mia situazione il periodo più nero è iniziato proprio alle elementari.

Chiara cominciò sempre di più ad avere l’esigenza di comunicare. L’ergoterapista alla quale era abituata andò in pensione e le terapie vennero sospese. Non sapevo cosa fare. Divenne aggressiva con gli altri e con se stessa a partire dalla seconda elementare.

Ricordo che una volta a inizio anno scolastico della terza classe, quando stavamo andando a conoscere la nuova collaboratrice, pur di non entrare in aula le venne una crisi aggressiva dove si provocò una ferita sul braccio grattandolo sul muro della scuola. E prese a calci gli insegnanti.

Era insofferente, si vedeva. Lo dimostrava in ogni modo possibile. Un giorno sì e uno no dovevo andare a riprenderla da scuola. L’unica opzione era darle un farmaco che l’avrebbe sedata o rinchiuderla in un centro. Così mi dissero. E così feci.

Premetto che Chiara soffre di crisi epilettiche fin da piccola e quando abbiamo provato a somministrarle il farmaco le crisi peggioravano e aumentavano. Per questo motivo il medico decise, dopo qualche mese di prova, di sospendere il trattamento.

Poi arrivò un’altra bambina, la terza figlia.

Ma non solo, arrivò anche la notizia che pure la seconda aveva qualcosa che non andava e per completare il quadro arrivò anche una crisi post parto. Causata dal troppo stress, secondo la psicologa.

Data la situazione avevo capito che dovevo fare qualcosa e che avrei dovuto agire immediatamente. Chiesi alla neuropsichiatra un centro specializzato dove poter andare con chiara, per aiutarla e mi venne consigliato l’ODFLAB di Rovereto.

A Bolzano non c’era nulla.

Cosa propongono all’ODFLAB di Rovereto?

La decisione di portare lì Chiara fu la più faticosa e più importante della nostra vita. Iniziai un percorso di parent training con la psicologa che mi fece capire che la prima cosa da fare era imparare ad accettare tutto quello che stava accadendo. Chiara iniziò le terapie per la comunicazione aumentativa.

Cosa ti disse?

Mi ricordo ancora le sue parole: signora, è disposta a cambiare a mettersi in gioco? Il percorso è lungo e cambierà completamente tutte le sue abitudini. Scherzando con mio marito gli dicevo sempre che ero diventata una fotografa perché imprimevo nella mente ogni oggetto, ogni persona che aveva a che fare con Chiara, ogni cosa che le serviva dall’acqua ai vestiti per poi passare ad associare il reale all’astratto.

Feci anche terapie di gruppo che mi aiutarono a capire che non ero la sola ad affrontare tutto questo e ascoltai tanti consigli di altri genitori nella mia situazione e che mi permisero anche di far fare a Chiara la comunione senza troppi pensieri.

Dalla quarta elementare in poi mi assegnarono due collaboratori una donna e un uomo che ancora oggi ringrazio perchè erano formati, avevano esperienza, sapevano cosa stavano facendo. Ogni azione era ben definita, nulla era lasciato al caso. Con Renata imparò a scrivere, ricordo ancora le lacrime di gioia, mentre con Salvatore girava tranquillamente e nessuno aveva più paura di lei. Era finalmente più serena e le era anche venuta voglia di andare a scuola.

Non mi chiamavano più per andarla a prendere a scuola e a me non sembrava vero.

Le sorelle come hanno affrontato questa situazione?

Le due sorelle, come spesso accade, hanno dovuto subire tutto questo, i momenti belli e momenti brutti ma, io lo dico sempre, i fratelli di ragazzini con disabilità hanno una marcia in più , sono umili e non vedono nei fratelli la diversità come la vedono gli altri. Hanno un bagaglio di emozioni e di esperienze che li fa crescere prima del tempo e li fa diventare persone migliori. Ok, non è facile, ma le difficoltà si superano insieme.

Chi ti ha dato supporto morale durante questo percorso?

Ho trovato un grande supporto nell’amicizia di un angelo, una mia amica, che non ha mai smesso di credere in me e non ha mai smesso di dirmi che sono forte e che ce l’avrei fatta.

Insieme a mia figlia in tutto questo sono cresciuta anch’io. Ho imparato come devo comportarmi con lei e quella che prima sembrava una montagna insormontabile adesso è una collina da scalare, più semplice sicuramente perchè ho a disposizione l’attrezzatura giusta.

Quali cambiamenti hai notato in Chiara nel tempo?

Chiara migliorò tanto e nel 2013 iniziò a parlare. Mi ricordo come fosse ieri quell’estate a Sottomarina al mare dove sono partita da sola proprio per trovare un mio equilibrio con tutte e tre, come mi era stato consigliato dalla mia migliore amica che è più di una sorella. Ricordo perfettamente quando per la prima volta Chiara chiese l’acqua al barista al chiosco e quando disse per la prima volta mamma. Un’emozione che tengo custodita nel mio cuore.

Tanti danno per scontate le piccole cose che invece per noi genitori con ragazzini autistici sono grandi traguardi. Una loro parola o un’espressione felice per noi è come vincere la schedina al super enalotto.

Poi come hai continuato?

Lasciai Rovereto e continuai il percorso presso l’associazione “Il Cerchio” che ai tempi era una struttura privata. Lo feci anche per poter seguire meglio le altre due figlie che, data la situazione, avevo un po’ trascurato.

Chiara nel frattempo continuò a migliorare, a non essere più selettiva con il mangiare e ad usare sempre di più il quaderno delle comunicazioni, con cui ora comunica perfettamente e di cui non po’ più fare a meno.

Ha imparato nuove parole e anche se c’è ancora molta strada da fare, non ho intenzione di mollare perché so di poter puntare in alto. Tutto quello che ho fatto fino ad ora mi è costato tanta fatica e denaro ma sono stati i soldi e il tempo miglior spesi della mia vita. Il sorriso di mia figlia vale più dell’oro.

L’autismo è come quando si ha una macchina che non funziona come vorresti o come un ospite che ti entra in casa senza permesso e con cui tuo malgrado devi imparare in poco tempo a convivere. Ti cambia la vita ma anche te la migliora. Sicuramente te la fa vedere con occhi diversi.

Vedi cose che gli altri non vedono, ti accontenti delle piccole cose. La disabilità ti arricchisce come persona.

E con tuo marito, come coppia, come è cambiato?

L’autismo, come altre disabilità, ti mette alla prova ma se si è insieme ad una persona intelligente le difficoltà si superano insieme tenendosi per mano. E io posso dire di essere fortunata, di avere un marito bravo, che ha capito e che alla fine non mi lascia sola.

Quale cosa ti chiedi ora che Chiara sta crescendo?

Ora come ora mi rimane una sola domanda: dopo la scuola, con tutti i sacrifici che ha fatto lei e che abbiamo fatto noi, che succederà? Quale futuro le posso offrire? Purtroppo a questa domanda non posso ancora rispondere perché come opzione mi vengono proposti solo laboratori produttivi protetti senza nessuno sbocco lavorativo. In pratica senza di me ancora non può stare. E non voglio vederla persa a guardare un muro sotto farmaco. nessun genitore vuole questo per il futuro del proprio figlio.

Come ogni genitore per lei vorrei il meglio, una casa e un lavoro. Basterebbe ci fosse un centro che prende in carico a 360 gradi tutta la famiglia e che da consigli riguardo ciò  che offre il territorio e da consigli sul cosa fare per poterne usufruire.

Spesso chi è al potere o chi ha in mano le carte del gioco, si dimentica che dietro a dei figli disabili ci sono genitori di figli disabili. Che hanno lo stesso diritto di vivere di chiunque altro. Avere uno sportello che dà indicazioni sarebbe utile per poter affrontare il tutto con più serenità, senza sentirsi come pesci fuori dall’acqua, sempre alla ricerca di soluzioni. Che non sempre si trovano lasciandoli soli con loro stessi, isolati dal resto del mondo.

Purtroppo non tutti hanno la forza di affrontare questa sindrome e molti mollano il colpo, non ce la fanno. La stanchezza è tanta. Serve aiuto psicologico e un centro socio riabilitativo con sbocco lavorativo.

Ancora oggi ricordare queste cose mi commuove. Sembra sia passata una vita e non mi sembra vero di aver passato tutto questo e che Chiara sia diventata cosi abile e brava. Ripeto, la strada è lunga e in salita, ma vedere i piccoli passi e i suoi piccoli cambiamenti mi da fiducia in un futuro migliore.

Questi ragazzi hanno un potenziale enorme che, se scoperto in tempo e valorizzato, può permettere loro di avere tutto ciò vogliono nella vita. O per lo meno può permettere loro di viverla nel modo più sereno possibile.

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