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Tra cronaca e storia

Foibe, lo ‘smemorato’ Pirjevec e la faziosità dei dominanti

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Sabato 9 febbraio 2019 il presidente della repubblica Sergio Mattarella affermò: “Foibe, non ritorsione contro il fascismo ma odio etnico e sociale“.

Ciò premesso, coloro che ancora oggi “giustificano” le foibe, perché di questo si tratta, assolvono gli aguzzini con argomenti che cozzano con la storia vissuta, una storia fatta di documenti, che smentiscono qualsiasi faziosa retorica assolutrice dei titini, cosi come “narra” lo storico triestino di origine slovena Joze Pirjevec.

Il prof. Giuseppe Parlato, ritenuto sia da destra che da sinistra uno storico obiettivo e un profondo conoscitore delle storia del confine orientale, commenta in questo modo le esternazioni di Pirjevec: “Pensavamo che la questione delle foibe, dell’esodo e di tutto quello che era successo tra il 1943 e il 1947 nella Venezia Giulia, nell’Istria, a Fiume e in Dalmazia fosse avviata su una buona strada: la storia prevale sulla politica; il metodo degli studi, rigoroso e serio, prescinde dalle passioni e dalle ideologie; si riconosce la necessità di fare entrare quelle vicende nell’ambito di una memoria pubblica”.

Lo pensiamo ancora, anche se il volume scritto e curato per Einaudi dallo storico sloveno Joze Pirjevec fa davvero pensare il contrario, spostando indietro nel tempo il clima, l’approccio, le interpretazioni del fenomeno.

Questo “storico” sloveno pretende di ricostruire il passato operando dei drastici tagli nella propria analisi, per cui egli omette tutti gli accadimenti storici che infrangerebbero la sua tesi. Tale sua arbitraria selezione del materiale, consistente nell’espungere i dati contrari alla sua ricostruzione, risulta sistematica nel corso della trattazione, che parte sin dall’Ottocento.

Egli così non parla dell’alleanza fra governo austriaco e nazionalisti slavi nella persecuzione anti-italiana del periodo 1868-1918; non parla delle violenze anti-italiane degli Slavi durante il dominio austriaco, della chiusura di scuole, giornali, centri culturali, delle espulsioni di massa di Italiani, dei cognomi italiani slavizzati, dell’immigrazione massiccia di Slavi dalle zone rurali del Balcani promossa dal regime asburgico per sommergere gli Italiani, dei favori concessi a Sloveni e Croati dall’amministrazione asburgica nelle attività lavorative e nelle assunzioni eccetera.

La verità è che il governo austriaco si prefisse, secondo il verbale del Consiglio della Corona asburgica riunitosi nel 1868, di “germanizzare e slavizzare il Tirolo, il Litorale [ovvero la Venezia Giulia] e la Dalmazia, con la massima energia e senza riguardo alcuno” (Die Protokolle des Österreichischen Ministerrates 1848/1867 V Abteilung: Die Ministerien Rainer und Mensdorff. VI Abteilung: Das Ministerium Belcredi, Wien, Österreichischer Bundesverlag für Unterricht, Wissenschaft und Kunst 1971; Jürgen Baurmann, Hartmut Gunther e Ulrich Knoop, Homo scribens: Perspektiven der Schriftlichkeitsforschung): ciò avvenne in stretta alleanza con gli Slavi del sud, che da sempre odiavano ed invidiavano gli Italiani per il loro ben maggiore livello culturale, economico e sociale.

Anziché ricordare tutto ciò, il Pirjevec si sofferma unicamente sul nazionalismo italiano dell’800, che però non perseguitò in alcun modo gli Slavi, né avrebbe potuto farlo, essendo questi ultimi sotto l’amministrazione dell’impero asburgico, nettamente filo-slavo ed anti-italiano.

In questo modo, questo “storico” sloveno giunge ad un vero capovolgimento della realtà storica, facendo dei perseguitati (gli Italiani) dei persecutori, e dei persecutori (gli Slavi) dei perseguitati. La slavizzazione forzata della Dalmazia, le cui città erano, da sempre, interamente italiane è completamente dimenticata. Similmente, nel proseguimento della sua analisi il Pirjevec non parla del terrorismo slavo in Venezia Giulia posteriore al primo conflitto mondiale, che fu guidato, organizzato, finanziato dal governo di Belgrado.

Gli scontri che vi furono in questa regione fra Italiani e Slavi negli anni ’20 furono provocati dal terrorismo slavo, promosso da Belgrado. Anche qui il nostro “storico” tace sulle origini dei contrasti, e sulle attività terroristiche slave, limitandosi a parlare delle reazioni italiane.

Allo stesso modo, il Pirjevec ricorda l’occupazione italiana di parte della Jugoslavia nella seconda guerra mondiale, senza però dire che era stata la Jugoslavia stessa a dichiarare guerra all’Italia, sottoscrivendo un’alleanza politica e militare con il Regno Unito, in cambio della promessa di ottenere la Venezia Giulia, inclusa Trieste.

Ancora, il Pirjevec non ricorda che l’occupazione italiana, lungi dall’essere oppressiva, all’inizio fu accolta positivamente dalle popolazioni slave, e che si giunse a violenti scontri armati in seguito all’inizio dell’azione di guerriglia dei comunisti locali, insorti dopo l’inizio della guerra fra Germania ed URSS.

Le origini della guerra italo-jugoslava, e le crudeltà e violenze della guerriglia anti-italiana, sono quindi passate sotto silenzio da questo “storico”, in modo da poter presentare le foibe quale una “resa dei conti” con “fascisti”, una sorta di vendetta per l’operato italiano nei Balcani.

Il discorso di Pirjevec è reso ancora più insostenibile dal fatto che esistono incontestabili documentazioni e testimonianze sulla natura pianificata ed organizzata della pulizia etnica compiuta dagli Slavi, e che predisposta da Tito stesso sulla base di un piano preciso.

Già negli anni ’30 un Serbo, Cubrilovic, redasse un manuale, detto appunto “manuale Cubrilovic”, in cui veniva spiegato nel dettaglio come condurre un’operazione di pulizia etnica. Cubrilovic divenne poi uno stretto collaboratore di Tito, ed ebbe modo di applicare le sue teorie nelle diverse stragi e cacciate di popolazione che il regime comunista compì: a danno di Italiani in Venezia Giulia, di Tedeschi in Carinzia, di Ungheresi nel “triangolo magiaro”, di Bulgari in Dobrugia.

Inoltre, M. Gilas, che fu per molti anni il braccio destro di Tito, confessò anni più tardi di essere stato inviato in Venezia Giulia con l’incarico di cacciare gli Italiani. Soprattutto, le violenze, le persecuzioni, le angherie contro gli abitanti dell’Istria e della Dalmazia che avevano la sola colpa di essere Italiani sono ben attestate, e furono esse la causa dell’esodo di massa.

In conclusione, ad evitare ulteriori equivoci, riporto un breve passaggio pubblicato dal professore comunista Gianni Oliva nel suo libro Esuli a pagina 13: “In realtà, la politica anti slava rientra per larga parte in quel carattere del fascismo che nel 1960 Franco Venturi, ha definito come ‘regno della parola’, dove le minacce, i toni forti, le iperboli retoriche sono assai più numerosi degli interventi incisivi ed effettivamente efficaci“.

Il contributo per La Voce di Bolzano è di Emilio Giuliana.

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