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Femminicidi: ecco i campanelli di allarme in una relazione

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Ormai si rischia di farci l’abitudine: l’omicidio di donne, spesso perpetrato da coloro che un tempo le hanno amate. Come possiamo affrontare e arginare questo male dilagante?

Ogni anno una serie di delitti scuotono l’opinione pubblica. Statistiche allarmanti indicano che ogni due o tre giorni una donna viene uccisa in Italia da un ex marito o da un amante respinto. Questi uomini, feriti nel loro narcisismo e incapaci di gestire la frustrazione relazionale, ricorrono alla violenza per affermare il loro controllo. Le vittime, in molti casi, hanno cercato aiuto, e gli indizi di una tragedia imminente erano evidenti, ma il soccorso non è arrivato in tempo.

Contrariamente a quanto affermano molti, non si tratta di raptus improvvisi. Questi atti di violenza sono stati preannunciati e, purtroppo, spesso prevedibili. Nonostante viviamo in un’era di connessione costante, la solitudine pervade, e l’individualismo dilagante sembra sopprimere ogni forma di solidarietà. Ma perché il grido di aiuto delle vittime non viene ascoltato? Una mentalità di accondiscendenza, paternalismo e compiacenza sembra persistere: “È un po’ violento, ma con un po’ di buona volontà tutto si risolverà”. Questa mentalità però, non può essere più lontana dalla realtà.

Se c’è violenza in una relazione, la tolleranza deve essere nulla. Le vittime devono denunciare, non subire.

Politici e ministri promettono maggiore attenzione al problema, con proposte di nuovi interventi e strutture. Tuttavia, l’Italia già possiede una legislazione in merito. A volte manca l’attenzione, altre volte le stesse vittime sottovalutano il pericolo. Servizi per la salute mentale, associazioni, hotline, centri antiviolenza: perché non rinforzarli? Perché non finanziare i Dipartimenti per la Salute Mentale per contrastare il disagio psichico e sociale che sottende alla violenza relazionale?

Alimentare l’educazione alla relazione è fondamentale, con un focus sulla prevenzione che deve iniziare fin dall’infanzia. Il bombardamento di immagini e contenuti volgari espliciti (in cui le donne vengono mostrate come oggetti) a cui i bambini sono esposti contribuisce a una percezione distorta del corpo, in particolare del corpo femminile. Nel femminicidio, osserviamo uomini fragili ma aggressivi che, feriti nel loro narcisismo, attaccano fino alla morte le vittime intrappolate in relazioni degenerate.

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Forse è il momento di rivoluzionare l’educazione, promuovendo la solidarietà e il rispetto per gli altri fin dalla tenera età. Questo richiede una revisione dei percorsi educativi nel loro complesso e dei modelli di vita proposti. Ogni femminicidio è una sconfitta che interpella tutti noi, segnalando la perdita progressiva di umanità che sembra contrassegnare questa era postmoderna.

Come si può individuare un uomo pericoloso?

Ecco alcuni atteggiamenti che potrebbero essere un campanello d’allarme:

Riduce la donna a un oggetto, decide come deve vestire, la riprende se fa o dice qualcosa che lui considera sbagliato;
Tenta di isolare la donna, anche dai suoi cari e amici più intimi, e spesso è lui a stabilire le sue frequentazioni;
La svaluta, tendendo a farla sentire inadeguata in pubblico;
Impone limitazioni all’uso dell’auto, del telefono, del computer;
La sorveglia, spesso anche finanziariamente: potrebbe arrivare a richiedere le ricevute delle sue spese;
È spesso possessivo, diffidente;
Imputa alla donna la responsabilità quando le cose vanno male;
– Se ci sono figli, è probabile che cercherà di screditare la compagna per come si prende cura di loro, la farà sentire una madre inadeguata e in seguito potrebbe minacciarla di allontanare i figli da lei, di non farli vedere più.

Quali altri segnali di allarme in una relazione possono esserci?

Gli specialisti lo definiscono “il ciclo della violenza”, che si articola in quattro fasi:

Fase 1 – Aumento della tensione. È una fase in cui l’uomo tende a umiliare la donna; per prevenire la violenza, lei cerca di reprimere i propri bisogni, cerca di accontentare e placare l’uomo. L’autostima della donna e la sua sicurezza iniziano a diminuire gradualmente.

Fase 2 – Scoppio della violenza. L’uomo perde il controllo, maltratta la donna, generalmente inizia con spinte, torcendo le braccia, fino a colpi, calci, uso di oggetti o armi.

Fase 3 – Periodo di pacificazione. Dopo la violenza inizia la fase delle scuse, delle promesse alla donna, potrebbe comprarle un regalo, portarla a cena fuori. In questa fase potrebbe minacciare di suicidarsi o promettere che cercherà aiuto terapeutico.

Fase 4 – Scaricamento delle responsabilità. Si cercano le cause e l’uomo inizia a dare la colpa al lavoro, allo stress, a un periodo difficile, fino a incolpare la compagna.. “È stata lei a scatenarlo! Si è meritata tutto!”. Così aumenta il senso di colpa nella donna, la convinzione di aver sbagliato e che forse era giusto così, che meritava ciò che ha subito.

Una volta avviato il ciclo perverso della violenza, le fasi iniziano a ripetersi continuamente.

Se riconoscete alcuni di questi segnali nella vostra relazione o in quella di un’amica o conoscente, state attente e cercate aiuto da qualcuno, come un centro antiviolenza, uno psicologo, un avvocato, le forze dell’ordine”.

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