Società
Covid, in Trentino-Alto Adige da agosto contagi su del 28%
In Trentino-Alto Adige, rispetto alle altre regioni, l’incremento dei contagi da Covid-19 negli ultimi due mesi è stato contenuto, registrando un più 28%. Si è passati dai 7.692 casi al 31 luglio (4.975 in provincia di Trento e 2.717 in quella di Bolzano) a 9.820 del 4 ottobre (6.175 in quella di Trento e 3,645 a Bolzano). Zero i nuovi decessi. Ben diversa la situazione nelle sette regioni del Mezzogiorno, dove dai 16.491 casi registrati al 31 luglio si è passati ai 38.139 attuali.
Cioè in appena due mesi si è finiti dal 6,6 all’11,7% del totale nazionale. Nel dettaglio, il totale dei casi è addirittura triplicato negli ultimi due mesi rispetto al periodo precedente in Campania (da 4.999 a 14.337) e Sardegna (da 1.404 a 4.229), è più che raddoppiato in Basilicata (da 452 a 920) e Sicilia (da 3.288 a 7.681), è quasi raddoppiato in Calabria (da 1.266 a 2.063) e Puglia (da 4.611 a 8.234). Preoccupa anche il Lazio, passato da un’incidenza del 3,5 al 5,4% dei casi sul totale nazionale (da 8.647 a 17.509).
Al Nord l’incremento è meno rilevante. Ad esempio la Lombardia, nello stesso periodo, è scesa dal 39 al 33,2% dell’incidenza nazionale: dai 96.219 contagi al 31 luglio è arrivata ai 108.065 del 4 ottobre, con 11.846 casi in più.
Sono i numeri elaborati dall’ufficio comunicazione dell’Unsic, sindacato datoriale ramificato in tutta Italia.
“Il Covid ha ripreso la sua corsa, i numeri dei contagiati sono in crescita da nove settimane”, spiega Domenico Mamone, presidente del sindacato e autore di un libro sul coronavirus di prossima uscita, scritto con Giampiero Castellotti.
“La novità più evidente di questa fase è il rovesciamento geografico: se prima dell’estate quasi la metà dei casi apparteneva alla Lombardia e l’infezione era concentrata nel Settentrione, oggi preoccupa l’evoluzione nel Mezzogiorno, dove, tra l’altro, la condizione ospedaliera non è paragonabile con quella lombarda o veneta. L’attendismo è deleterio: occorre subito mettere in campo proposte, viste le previsioni non allettanti”.
Mamone punta l’attenzione, in particolare, sui numeri crescenti che arrivano dalle scuole.
“In Francia, dove le scuole sono state aperte appena due settimane prima di noi, la Santé Publique ha reso noto che l’apporto degli istituti scolastici sul totale dei cluster è arrivato al 32 per cento, con 285 focolai sugli 899 totali. E’ un dato emblematico per un paese con 17mila contagi. Da noi, dove manca un censimento ufficiale in quanto il ministero dell’Istruzione ha appena iniziato a farlo, un dato significativo è quello del Lazio, diffuso dall’assessore regionale Alessio D’Amato: 336 contagiati in 296 plessi scolastici. Se grossolanamente proiettassimo il dato a livello nazionale, saremmo già a non meno di tremila casi, con circa 55mila studenti e docenti in quarantena”.
Il presidente dell’Unsic, ricordando che un nuovo lockdown sarebbe funesto per l’economia e richiamando il difficile equilibrio tra salvaguardia della salute pubblica e tutela economica, propone interventi per rafforzare la digitalizzazione, specie nel Mezzogiorno. E il conseguente contenimento di spostamenti e contatti diretti.
“Anziché investire nei banchetti, sarebbe più utile migliorare e incrementare la didattica a distanza, almeno nelle scuole superiori, per ridurre trasbordi sui mezzi pubblici e assembramenti. Si garantirebbe così la continuità scolastica, lasciando eventualmente in presenza a scuola le interrogazioni per evitare copiature agevolate dal digitale. Certo, la presenza è importante, ma il problema è che stiamo vivendo una fase emergenziale e non la normalità: arrivare al punto di dover chiudere anche piccole aree equivarrebbe a nuovi ingenti danni economici”, conclude Mamone.
Preservare maggiormente studenti, professori e personale ausiliario – circa dieci milioni di persone in totale – tutelerebbe maggiormente genitori e nonni a causa dei possibili contagi familiari, prima modalità d’infezione.
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