Alto Adige
Chiude i battenti la gloriosa sezione CAI di Fortezza
Con tanta di assemblea, decisione unanime e comunicato alla Sezione centrale, ha terminato la propria attività, la sezione CAI di Fortezza. Un caso più unico che raro vista la simpatia che solo pochi anni fa circondava il direttivo e le sue iniziative.
Un pensiero amaro se solo si pensa a come il CAI abbia fatto nascere (esempio più recente), la palestra di roccia a Forte Alto, all’ingresso sud del paese, ma come in passato abbia fatto letteralmente rinascere dalle macerie il Rifugio Forcella Vallaga, nelle Alpi Sarentine.
È, che come molte delle associazioni che caratterizzavano la vita del paese, anche il CAI ha sofferto di quel fenomeno migratorio che ha caratterizzato in uscita la sua gioventù e in entrata i nuovi fortezzini, ragazzi che per la gran parte vengono da paesi extracomunitari e che non hanno nelle loro tradizioni il camminare in montagna in allegria, zaino in spalla , con gli amici. Insomma, a reggere le sorti dell’associazione era rimasto un manipoli di “vecchietti” che hanno deciso di mollare per raggiunti limiti di età e forse, di energie, ridotte ancor più dal calo di entusiasmi.
Il gruppo era nato nel 1953, per volontà di Tullio Viola, macchinista delle ferrovie e personaggio ben noto, a cui si erano uniti tanti italiani e tedeschi del paese a far forza, a creare prima la sottosezione del CAI di Bressanone e, in seguito, la sezione autonoma con un tasso di iscrizione che, per un piccolo paese di mille abitanti, aveva raggiunto il record dei 150 iscritti. Ebbene, all’assemblea che ha decretato lo scioglimento della sezione, erano in sei.
“Non si poteva andare avanti così – ha affermato Giorgio Fontana, anima della sezione – quattro gatti, poco entusiasmo e blandi riscontri alle iniziative”. Anche il Covid ha giocato la sua parte: la festa di Ferragosto, un “must” all’ombra della palestra di roccia, che vedeva l’accorrere da ogni dove è stata cancellata dalle ordinanze e dai decreti, come ad esempio quello che imponeva il servizio ai tavoli. E allora, addio! Un altro pezzo di storia italiana che se ne va.
C’è da dispiacersi nell’apprendere che un’associazione, o per meglio dire una sezione, gloriosa come quella del CAI di Fortezza, chiude i battenti. C’è da rammaricarsi nel dover, purtroppo, riscontrare come avessimo ragione.
Una decina d’anni fa, proprio su queste pagine, in questa testata, analizzando il flusso e riflusso delle migrazioni in paese, sottolineando come i giovani tendevano ad andarsene, abbandonando la “tranquillità paesana” ai vecchi che inesorabilmente se ne andavano anch’essi, in un altro mondo, osservavamo come ad una famiglia, ad un nome, fosse legato il destino di una delle (allora) ancora numerose associazioni-. Citavamo, a tal proposito, il coro, la squadra di calcio, gli alpini, ma anche l’hockey, il tennis, il tiro a segno, la Pro-cultura, lo sci club (tanto per citare ciò che nell’immediatezza viene in mente) e, nel calderone del ragionamento socio-culturale, mettevamo anche il CAI. Allora quell’articolo sollevò aspre polemiche in paese sottoponendo chi lo scrisse (e scrive oggi) a dure critiche.
Certo non piace essere paragonato ad una “Cassandra” che vede e predica nero a vanvera. Piace ancor meno constatare, da fortezzino, di aver avuto ragione. Di quelle attività associative appena citate, rimangono in piedi pochi fantasmi, ombre di quello che furono il coro che faceva trasferte in Sicilia piuttosto che in Austria e contava oltre 30 elementi; lo sci club citato dalla Gazzetta dello Sport per essere (sempre allora) il terzo d’Italia per numero di iscritti. Il tennis, che sull’unico campetto, proponeva l’altisonante “Trofeo città di Fortezza” con una dotazione di qualche centinaio di migliaia di lire e che proponeva un tabellone di una ventina di incontri in un fine-settimana “lungo” dal giovedì alla domenica; il CAI, che aveva il suo rifugio, il Vallaga, anzi meglio, il “Rifugio Forcella Vallaga” nelle Alpi Sarentine ristrutturato a suon di sacchi di cemento e materiali portati a spalle dai volontari subito dopo la Guerra.
Ebbene quella gloriosa bandiera che a Fortezza sventolava dal 1953, anno in cui un gruppo di appassionati iniziò a riunirsi manifestando la volontà di creare almeno una sottosezione del CAI di9 Bressanone, quella bandiera ideale, è stata qualche giorno fa ammainata per sempre.
Il lettore ci scuserà, se proponiamo l’elenco dei soci fondatori, ma è un modo per “far storia”, per riscovare nomi da molti mai sentiti nominare, e scovati da un compianto giornalista di Bressanone, Fausto Ruggera, che in occasione del settantesimo dalla nascita della sezione CAI di Bressanone scrisse un libro, “Montagne senza confini”.
Eccoli nella stessa forma in cui lui li elencò, cognome e nome: Chiesa Silvio, Viola Tullio, Ribul Luciano, Sandri Giovanni, Orlandi Roberto, Kinigadner Giorgio, Dolci dott. Giovanni, Visintainer Giuseppe, Pozzi Fernando, Bentivoglio Dario, Brida Massimiliano, Dal Covolo Francesco, Viola Emanuele, Clara Zita, don Bruno Majoni, Lotto Eligio, Cobelli Romano, Stragenegg Osvaldo, Viola Germano.
Fra l’altro, Silvio Chiesa, ebbe l’ardire di comporre addirittura l’inno della sezione, che se non sarà definibile come poesia è certo documento storico e umano: quel “Via col sac” armonizzata da un (allora) piuttosto noto musicista come Giampetruzzi. Si aggregarono poi, nomi come Oddo Bronzo, Giancarlo Cenedese, Renato Mocellini, Agostino Zennaro, e poi Mario Coccia e Piergiorgio Fontana, per giungere a tempi più recenti.
Nomi, date; una tra tutte: il CAI di Fortezza avrebbe compiuto il prossimo anno 70 anni. Passati scavalcando il Ventesimo e il Ventunesimo secolo. Non ce l’ha fatta a festeggiare il giubileo: dei 150 soci che la sezione (divenuta autonoma negli anni ’70) contava allora, ne erano rimasti 12 di cui la gran parte residenti “fuori”.
All’assemblea di chiusura erano in sei! A Fortezza (ma non solo qui), sono pochi i giovani che arrampicano, che vanno in montagna, che amano quelle camminate in gruppo, zaino in spalla, tra sudore e fatica. È cambiato il mondo, i nuovi fortezzini hanno cognomi che vengono da lontano. Al CAI solo “vecchietti” (si fa per dire) con possibilità comunque limitate. Addio!
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