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“Chi protegge Eva mentre tutti difendono Caino?”

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In un’Italia dove una donna viene uccisa ogni tre giorni, ci si aspetterebbe che la priorità nazionale fosse la protezione di quelle vite che svaniscono nel silenzio, spesso dopo aver chiesto aiuto invano. E invece no. Mentre le vittime diventano numeri senza volto, il Paese sembra più occupato a garantire conforto morale e giuridico ai carnefici. Si marcia per Caino, lo si studia, lo si giustifica, lo si chiama per nome come si farebbe con un vecchio conoscente che ha solo sbagliato serata.

“Nessuno tocchi Caino”, recita uno slogan sempre più familiare. Ma chi protegge Eva mentre Caino prende la mira? Chi alza la voce per quelle donne che, spesso dopo aver denunciato inutilmente, finiscono per terra con una coltellata nel petto?

Il garantismo, un tempo presidio sacrosanto dello Stato di diritto, è diventato un culto distorto, in cui la vittima viene relegata a dettaglio scomodo. Si difende l’imputato con zelo quasi religioso, mentre la donna assassinata diventa una comparsa nel notiziario serale, una silhouette gessata sul marciapiede. E se osa emergere, c’è sempre qualcuno pronto a insinuare: “Ma cosa avrà fatto per farlo arrabbiare così?”






Intorno a Caino sbocciano associazioni, dibattiti, approfondimenti psicologici. Si racconta che ha avuto un’infanzia difficile, che viveva un disagio, che era fragile. “Dobbiamo capire cosa lo ha portato a quel gesto”, si dice. Nessuno, però, sembra voler capire cosa ha portato Eva a morire. Nessuno racconta le sue paure, la sua solitudine, la sua voce inascoltata. Quando Eva ha trovato la forza di denunciare, si è sentita rispondere: “Stia tranquilla, non è niente”, “Non abbiamo risorse”. E poi Caino ha bussato alla porta, spesso con un’arma in mano. Le risorse, allora, sono arrivate. Ma solo per i rilievi tecnici.

È una narrazione rovesciata, un paradosso tragico e grottesco. Mentre si discute se Caino meriti una cella decorosa e corsi di yoga in carcere, le donne continuano a morire. In casa. Per strada. Al lavoro. Quelle che sopravvivono, spesso lo fanno mutilate: nel corpo, nell’anima, nella fiducia verso lo Stato.

Ma guai a indignarsi troppo. Guai a chiedere pene severe o misure concrete. Si rischia di essere tacciati di estremismo. In compenso, chi invoca misericordia per l’assassino viene premiato con una copertina patinata e un palcoscenico mediatico.

L’Italia è il Paese dove la giustizia per le donne uccise si misura in minuti di silenzio, mentre la redenzione per chi le ha uccise si misura in articoli, interviste, attenzioni. La vittima scompare. Il colpevole si racconta.

E allora, ancora una volta, la domanda resta sospesa nell’aria: chi protegge Eva, mentre tutti si preoccupano di non turbare Caino?



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