Arte e Cultura
“Bernauer Straβe – Al di là del muro” e Berlino: intervista alla scrittrice Alessandra De Gaetano
Vi è una Berlino nascosta e celata.
Dagli studi di architettura di chi vi scrive riemergono i ricordi sbiaditi, ma vividi. E’ la storia di un’abitazione privata, lontana dalle mete turistiche: la “Haus Lemke”, progettata e realizzata da Mies van der Rohe tra il 1932 e 1933. La scatola appoggia sulle rive del lago Obersee, un minuto lotto di proprietà del collezionista di opere d’arte Karl Lemke.
Rappresenta l’ultima opera del maestro prima dell’esilio negli Stati Uniti, periodo nel quale dirigeva la scuola del Bauhaus.
Dopo la caduta del muro di Berlino, questo edificio è tornato patrimonio storico della città. Vi è un filo sottile, fil rouge, che lega il pensiero progettuale e le parole, tra il costruito e i ricordi, stralci di vita vissuta in disparte.
Il salto e il divario tra architettura e letteratura è talvolta breve. Incontriamo Alessandra De Gaetano, giornalista e scrittrice romana che ha pubblicato nel 2017 il libro “Bernauer Straβe – Al di là del muro”, Edizioni Progetto Cultura. Nel 2019 è uscito in Edizione speciale per il Trentennale con revisione linguistica a cura diDorothee Hock.
La storia del romanzo è ambientata nella capitale tedesca. Il Muro, come filo spinato, che delimita il lato meridionale di Bernauer Straβe, separando con un gesto ostile le storie individuali e collettive.
Non è solo una cesura fisica, ma psicologica, una separazione forzata di famiglie e di vite spezzate. Il confine rappresenta 31 anni di alienazioni, di costrizioni e l’incapacità di superare quella linea, lo spessore del muro.
Alessandra spiega: «In “Bernauer Straβe – Al di là del Muro”, racconto storie vere, indipendentemente dai nomi e cognomi reali dei protagonisti. Vere perché tutte realmente accadute, in una narrazione che è insieme testimonianza storica e memoria di tutte quelle storie ormai perdute che nessuno potrà più raccontare. Ed è in questo scenario che le minuscole storie delle persone “normali” diventano l’unica vera Storia da raccontare. Anche ai giovani. Proprio per questo ho scelto uno stile eterogeneo, mescolando narrativa e poesia, reportage giornalistico e romanzo popolare, suspense e sentimenti».
–Per Mies tracciare un muro coincideva con l’idea del recinto, segnare il rapporto privilegiato con il suolo. Nella vicenda della fortificazione berlinese, la storia è certamente meno aulica, suggestiva e poetica?
«Il muro in architettura non rappresenta necessariamente una separazione, ma può essere usato come elemento funzionale o estetico. Il muro di Berlino invece è stato una violenza sul suolo e nei confronti del popolo tedesco, costruito per creare una divisione fisica dal resto del mondo. Il romanzo, “Bernauer Straβe Al di là del Muro” si apre con una storia d’amore divisa dal muro e permette, fin da subito, di percepire il senso netto di separazione forzata che la crudeltà del regime della DDR aveva disseminato tra le persone per 28 anni. Intere famiglie sono state divise dai propri cari senza la possibilità, almeno per i primi anni, di potersi incontrare. Il romanzo nasce dall’incontro con esperienze di vita legate al muro, di persone conosciute e intervistate che hanno saputo trovare una via d’uscita ad una “quotidianità senza libertà”, che possano essere un monito per continuare ad abbattere i muri tangibili e intangibili. Un elemento suggestivo è il racconto della lotta e della ribellione verso la dittatura da parte di Ewa e di un gruppo di amici che, nella cornice di Bernauer Straβe, diventano gli artefici dell’organizzazione delle fughe verso l’Ovest. L’elemento poetico credo sia da ritrovare nella forza dei legami familiari, dell’amicizia e dell’amore che hanno resistito oltre il muro, oltre le distanze».
-“Muro di Berlino, barriera costituita da blocchi di cemento e cavalli di Frisia, che ha separato Berlino Ovest da Berlino Est dall’agosto 1961 al novembre 1989, eretta dalla Germania orientale con il principale scopo di impedire ai tedeschi dell’Est di passare nel settore occidentale della città.” E’ lo stralcio del vocabolario Treccani. Questa definizione è tanto veritiera quanto dolorosa se osservata con gli occhi umidi e appassionati del tuo libro, cosa ne pensi?
«Al momento della costruzione del muro, la Germania Est sostenne che si trattava di una barriera di protezione contro una aggressione fascista da parte della Germania Federale, ma in realtà voleva impedire fisicamente ai cittadini della Germania Est di poter raggiungere la Germania occidentale. Questa pagina di storia del Ventesimo secolo credo abbia dimostrato al mondo intero che la libertà è un valore civile e inviolabile. Ricordo di aver visitato il carcere della Stasi, durante il periodo di ricerca a Berlino e di aver intervistato la guida. Era un ex detenuto che si è salvato. Ricordo come fosse oggi quell’incontro, la sua sofferenza, la paura che raccontava di rimanere per sempre confinato tra quelle mura senza poter riabbracciare la sua famiglia. Mi ha riportato come avvenivano gli interrogatori, le torture che i sospettati del regime subivano, ho visitato le celle in cui venivano rinchiusi e ho sentito sulla mia pelle l’efferatezza del regime attraverso le sue parole. Credo che l’esistenza umana non possa prescindere dal rispetto della libertà dell’altro come diverso da sé, in tutti gli ambiti».
–Nel 2009, da corrispondente per “Radio Vaticana”, hai seguito le celebrazioni per il ventennale della caduta del Muro. Potresti descrivere questa straordinaria esperienza?
«È stata un’esperienza eccezionale, di crescita personale e professionale. Ricordo la Pariser Platz, la piazza della Porta di Brandeburgo sotto la pioggia battente e l’entusiasmo di essere lì a celebrare la Festa della libertà con oltre 100 mila tedeschi e ospiti da tutto il mondo, insieme ai leader dei 27 Paesi che nel 2009 componevano l’Unione Europea. Ho raccontato ai microfoni di Radio Vaticana la caduta del muro dalla voce di Angela Merkel, nata nell’Est comunista e diventata poi cancelliera della Germania unita, e dei suoi ospiti. Ripenso alle enormi tessere di domino, che ricordavano i pezzi del Muro, posizionate per un chilometro e mezzo lungo il fiume Sprea, decorate a mano dagli studenti della capitale tedesca, in collaborazione con personalità del calibro di Nelson Mandela. L’ex presidente della Polonia, Lech Walesa fece cadere la prima tessera di domino e fu molto emozionante, mentre la Merkel attraversò l’ex valico di frontiera che divideva in due Berlino, sulla Bornholmer Strasse, e diede il via alle celebrazioni ufficiali per i vent’anni della caduta del muro».
–Trentuno anni dopo l’avvenimento possiamo ritrovare delle analogie e/o aneddoti con la Storia dell’Europa e dei suoi cittadini in epoca contemporanea?
«Purtroppo ancora oggi l’Europa e il mondo continuano ad essere divisi dai muri e dal filo spinato: pensiamo ad esempio all’Ungheria, al Messico, a Israele. Pensiamo ai muri del mare (la questione dei migranti) e ai muri del fuoco (le fughe di persone dai conflitti armati). Ma i muri non sono solo tangibili. Il romanzo vuole essere la dimostrazione che l’unica via percorribile nella storia dell’umanità non è quella della separazione, dell’oppressione, della dittatura, ma del rispetto dei diritti umani, dell’unione e della libertà come diritto civile e inviolabile».
-I giovani cosa dovrebbero imparare da questa dolorosa vicenda?
«I giovani rappresentano il futuro dell’umanità. È opportuno che conoscano e apprezzino i valori fondamentali del vivere civile e in primis della libertà. La metafora del muro di Berlino è l’isolamento. Ritengo fondamentale il ruolo della scuola nel costruire un’umanità più consapevole e nell’insegnare ai giovani a riflettere, a pensare, a scegliere, a vivere insieme per crescere e costruire un futuro migliore. È utile insegnare ai giovani la cultura della diversità come valore aggiunto, che arricchisce. Perché – ha dichiarato la cancelliera Angela Merkel in occasione del trentesimo anniversario della caduta del muro nel 2019 – “si può costruire il futuro solo se raccontiamo le nostre paure e preoccupazioni con rispetto; quando conosciamo come ognuno di noi può contribuire” a costruire il domani; “quando ci confrontiamo costruttivamente per trovare soluzioni».
-Quanto è diversa, nell’anima, la città di Berlino oggi rispetto al 1961?
«Nel 1961 e per i 28 anni successivi, Berlino Est era abituata ad una esistenza caratterizzata da sobrietà e rinunce. Oggi è una città viva, giovanile, accogliente e allo stesso tempo caotica. Ha cambiato il corso della storia, si è reinventata, fino a diventare un centro culturale che offre un panorama artistico molto interessante, con concerti all’aperto, festival e una vita notturna vibrante. I club e la cultura tecno/electro sono il centro della cultura musicale giovanile. Berlino attrae turisti da tutto il mondo, di tutte le generazioni. È la città dei mercatini improvvisati e dello scambio tra generazioni, ma anche dello stile, delle modelle e degli hipster. È la città per chi non si sente a casa da nessuna parte, il luogo in cui nessuno ha paura di essere sé stesso, perché sa che non verrà giudicato. È il nuovo mondo…sotto il cielo di Berlino” ».
“Bernauer Straβe – Al di là del muro” e Berlino: intervista alla scrittrice Alessandra De Gaetano.
Didascalia: La caduta del Muro di Berlino 1989. Foto di Livio Senigalliesi.
Emanuele Perego www.emanueleperego.it www.perego1963.it
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