Le nostre storie
Arte Bolzano: ‘la complessità e la leggerezza’ di Silvana Ippolito
In queste lunghe giornate di “lockdown” la tecnologia viene in soccorso: scorro le pagine di Facebook, mi incuriosiscono alcune immagini di sculture, nominate NIKE. Contatto, ricevo gentilezza e accoglienza, mi accordo, vado. Un labirinto di bellezza e di colori si spalanca davanti ai miei occhi quando Silvana Ippolito apre la porta della sua casa laboratorio nel cuore di una Gries antica.
Maestose ma anche minimali opere d’arte si lasciano incorniciare da ombre e luci: bronzi illuminati dalla lucentezza vivida di una vita che è stata ed è in costante movimento, tracciati di un’anima “migrante” tra la Capitale, Monaco, Bolzano (per inciso anche Merano ed il venostano Silandro), Stoccarda, Berna, New York, Costa Rica. Un viaggio nelle emozioni di questa donna meravigliosa, che si racconta attraverso la sua arte: ci troviamo in un vero e proprio museo a cielo aperto, camminando tra i bianchi sassolini di un giardino ad ispirazione zen.
Roma, una scuola elementare, una bambina con un disegno in mano da mostrare al maestro, un maestro orgoglioso e fiero di questa alunna fuori dalle righe, distante ed affrancata dalla semplice copia/riproduzione del reale, riconoscibile però come talento “in erba”. Silvana non era brava nel copiare dai testi di disegno, come le compagne di classe, lei interpretava, rappresentava la vita e la faceva sua: questo l’esordio di un’artista autodidatta che deve l’espressione del suo talento unicamente a se stessa.
A 15 anni, in piena adolescenza, Silvana trascorse l’estate in un piccolo paesino della Toscana, nella vecchia casa abbandonata della nonna materna. Una casa rustica con il focolare ed il pavimento in pietra, un luogo corroso, ma vivo di ricordi, dove la ragazzina accendeva la sua “vis creativa”, inestinguibile, dipingendo opere figurative di grandi dimensioni. Era sola, con i libri che prendeva a decine nella biblioteca del paese vicino, sola con i suoi pensieri, confinata in una fertile solitudine iena di immagini e colori.
In quell’estate Silvana diede sfogo liberamente al suo “fare”, conoscendo e riconoscendo se stessa. A 18 anni, nel cuore della Capitale, partecipò ad una collettiva dove esponeva anche la moglie di Guido Carli, pittrice. Da qui la prima premiazione, cui segue l’acquisto della sua opera pittorica (una composizione di vasi, forme e colori), con lettera di elogio, sul valore dell’opera, del ministro Gonella.
Approdata a Bolzano per motivi professionali, non coincidenti con l’arte, nel 1976 Silvana conosce diversi artisti (Porcaro, Ravagnolo, Vecellio, Cobo, ecc) e frequenta il laboratorio di Leonardi.
Un laboratorio di ceramica, una brocchetta fatta a mano, non al tornio, l’attesa e l’aspettativa per la sua riuscita del colore prescelto, luna perlescente, la gestazione di sogni e forni che segue ogni manufatto. Il risultato della brocchetta è un indistinto colore “di cacca di cane malato”, a detta dell’artista: segue una muta contrarietà e sofferta delusione per quest’opera nata storta. Si dice però che dalle storture e dalle imperfezioni nascano le opere migliori, come cantava De Andrè “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.
E così, graffiata e sconfitta, muta e silenziosa, preso un pesante blocco di creta, Silvana si cimenta nella sua prima opera scultorea, dov’è manifesta la storia e l’evoluzione della sua stessa vita, una lettura, ancora oggi, quanto mai attuale. I passaggi fondamentali di quest’artista, personali e dolorosi, vengono modellati dal cuore, dalla mente e dalle mani: viene così alla luce un’opera a tutto tondo, passando dall’immagine di una donna prona e china all’obbedienza, ad una donna che con sforzo cerca di alzarsi, ancora muta e legata.
Una donna che scopre amore e sesso nel periodo più florido degli studi, erigendosi così all’evoluzione primaria e fondamentale del femminile, alta, maestosa e dea, puro slancio vitale. Un’opera che si può circumnavigare come la vita, dove il “continuum” prosegue con una figura maschile, in bilico, precaria, a spina dorsale ricurva, un uomo sorretto (o allontanato) da braccia protese forti e potenti di energia. Tra le due figure, incastonata, quasi fusa simbioticamente, si individua una nuova forma, rappresentazione di un incastro familiare involuto e non libero, quello vissuto in quel periodo dall’artista stessa.
Come ultimo passaggio troviamo una donna matura, gravida di idee, proiettata verso lontani orizzonti, sola e centrata: in maniera inconscia, inconsapevole, ma inspiegabilmente predittiva, Silvana in quel laboratorio “rappresenta” se stessa ed il suo cammino, il suo destino, con l’intuizione visionaria propria degli artisti.
A Stoccarda, 1992/1993, come nel periodo bernese, 1995/2002, Silvana dipinge costantemente, partecipa a mostre personali e collettive, viene apprezzata anche dallo svizzero Christian Megert, le cui opere sono in diversi stati e musei del mondo. Pur proseguendo nella pittura, Silvana si afferma maggiormente nella scultura, ma i suoi spostamenti di lavoro, i diversi traslochi, denunciano tutta la fragilità del materiale impiegato, la creta appunto.
Nel 2003 Silvana, che da piccola già si definiva “re Mida”, affascinata dalla luce dell’oro, dalla nobile longevità del bronzo, lavora in fonderia: iniziano le fusioni, nell’intento di preservare e prolungare nel tempo la visibilità delle opere. A Bolzano, culla formativa del suo periodo scultoreo, Silvana mette in campo circa 40 pezzi di sculture in bronzo, spaziando dal figurativo a forme del tutto astratte, modulari, componibili, scomponibili, rotanti, spesso inglobate di luce o incorporate con altri materiali. Ma non è ancora il suo punto di arrivo: Silvana coltiva il sogno di compiere un’opera monumentale per la comunità e la città di Bolzano. Per realizzare questa sua aspirazione ha bisogno di una mano tesa dalle Autorità locali: uno spazio che le consenta di raggiungere una vetta più alta, dove redigere il suo testamento artistico, dove dare forma ad un lascito di bellezza, onorando questa città ed i suoi cittadini, tutti.
Esco a sera. Fuori il gelo e la città vuota. In me indelebili, scorrono fluidi i racconti. Svolgo e riavvolgo il nastro delle immagini, caleidoscopio e sigillo di un’esistenza in arte.
Foto 1 – “La materia invisibile_bronzo 2019”
Foto 2 – “Thoughts tecnica mista 2020”
Foto 3 – “La complessità e la leggerezza bronzo e cristallo 2019”
Sotto, sculture NIKE di Silvana Ippolito
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