Alto Adige
Angelo Miceli #26, lo “sniper di Calabria”: intervista all’italo-canadese che ha stregato Bolzano
Quando iniziò la stagione 2017-18 il Bolzano vantava un roster eccellente, un allenatore ambizioso, un ambiente carico e pieno di fiducia. Cinque mesi dopo, nel gennaio 2018, la tifoseria era in preda allo sconforto. La squadra era ultima in classifica a 41 punti dalla capolista Vienna e i bookmakers pagavano 100 volte il titolo. Regnavano un clima pesante e molta tristezza, complici uno stillicidio continuo di infortuni, sfortuna ed incomprensioni. Ma nulla è perduto negli sport americani dove i play off consentono l’impossibile, sempre a patto di raggiungerli.
Per i biancorossi la svolta si ebbe quando col mercato di riparazione arrivarono i rinforzi. Parliamo dei finlandesi Pekka Tuokkola, un portiere a fine carriera che fece una delle sue migliori stagioni di sempre, e di Coach Suikkanen, allenatore esperto e uomo fortunato. L’ultimo posto disponibile per i play off agguantato negli ultimi quaranta minuti di gioco della regular season rimontando tre reti di svantaggio allo Znojmo e la straordinaria vittoria del titolo in gara sette a Salisburgo il 20 aprile 2018 sono storia nota e valsero la nomina per la “squadra dell’anno” agli Sport Awards della Gazzetta dello Sport.
Ma è giusto ricordare che il quel mercato di riparazione arrivò dal Canada anche Angelo Miceli, un giovane attaccante di origini italiane, nato a Montreal il primo marzo 1994. Angelo fu subito determinante e deliziò il pubblico con la sua tecnica e il suo altruismo facendo ben 25 punti in 31 partite (8 reti e 17 assist), risultando inoltre decisivo nella sua batteria di power play.
Intervistiamo allora Angelo Miceli che nelle due stagioni successive si è confermato su ottimi livelli diventando un beniamino del pubblico biancorosso e un punto di forza della Nazionale Italiana.
Angelo, spesso quando pensiamo a una famiglia di origine italiana in America ci viene in mente il pranzo della domenica con un grande vassoio di buonissimi spaghetti al pomodoro con le polpette messo al centro di un tavolo imbandito. Sono solo stereotipi banali che vediamo nei film?
Un poco di verità riguardo i nostri legami con l’Italia c’è e il cibo è importante per tutti, per ogni popolo e ogni cultura. Effettivamente in famiglia si faceva spesso il pranzo della domenica a casa di mia nonna e si mangiava pasta, pesce o carne fatti come in Italia. Anche a casa nostra mia mamma faceva la pasta durante la settimana ma ciò non toglie che si mangiasse pure come i canadesi e si vivesse come loro e con loro.
Sei cresciuto quindi in una cultura mista in Canada?
Si, mio papà era di origine calabrese e mia mamma siciliana. Con loro parlavo inglese, coi nonni parlavo italiano e a scuola francese vivendo nel Quebec. La mia cultura ovviamente è mista, con le radici Italiane ma anche con l’amore per il Canada che è il paese dove sono nato e dove ho gli amici. Sono canadese ma anche italiano perché una cosa non esclude l’altra. Nel mio paese, un sobborgo di Montreal che si chiama Saint Leonard, c’è una grande comunità di italiani pari a circa un terzo della popolazione e solo nell’area metropolitana di Montreal ci sono circa 300.000 italiani con una zona si chiama “Petit Italie”.
Cosa facevi in Canadà e quando hai iniziato a giocare a hockey?
Ho iniziato a giocare a cinque anni con i miei amici dopo la scuola sempre a Saint Leonard. L’hockey è la più grande passione dei canadesi ma comunque in estate si giocava anche a calcio. Giocando a hockey ho fatto tutte le scuole fino alle superiori e un po’ alla volta, verso i 14 o 15 anni nelle leghe Junior del Quebec, mi sono reso conto che sarei potuto diventare un professionista.
A 21 anni hai giocato 29 partite nei St. John’s IceCaps in AHL che sono il Far Team dei Montreal Canadiens in NHL per poi passare ai Texas Stars che sono il Far Team di Dallas. Come per tanti il sogno di giocare in NHL è però svanito. Ci dici perchè?
Proprio mentre pensavo all’università arrivò una sorpresa perché i St. John’s IceCaps mi chiamarano in try out e firmai con loro in AHL (la seconda lega per importanza in Nord America) rinunciando per il momento agli studi perché non compatibile con lo sport. Il sogno di fare il grande salto in NHL non si è realizzato perché come sai è difficilissimo per la grande concorrenza e perché ci sono solo 31 squadre. Io rientravo nella categoria dei giocatori tecnici ma piccoli e mi sfavorivano il campo più stretto che si usa in America e il gioco più fisico.
Egoisticamente è meglio per noi perché adesso giochi a Bolzano e nel vederti con la maglia azzurra della nostra nazionale ascoltare l’Inno di Mameli pare di notare un certo orgoglio da parte tua.
Certo, è un grandissimo orgoglio giocare con la maglia dell’Italia e un grande onore. I mei nonni e tutta la mia famiglia mi guardano in streaming dal Canada e sono felicissimi. Fu una grande soddisfazione battere l’Austria ai rigori nella partita spareggio e conquistare la permanenza nel gruppo A. Tra l’altro io mi trovo molto bene col gruppo della nazionale e lo staff tecnico.
A mio personalissimo parere le maglie dell’Italia di Hockey sono bellissime ma purtroppo per i prossimi mondiali la ragione mi induce al pessimismo e temo che la bellezza delle nostre maglie non ci possa salvare da una retrocessione nel gruppo B che pare possibile. Credi che ci salveremo anche questa volta?
Intanto cerchiamo di dare il nostro meglio con squadroni come Russia, Finlandia, Svizzera e USA, non pensando al risultato ma a fare bella figura, ad acquistare fiducia, prendere confidenza e poi a fare qualche punto magari con la Norvegia. Le partite chiave sono quelle con la Lettonia e il Kazaksitan dove ci giochiamo la salvezza e daremo tutto.
Nell’estate 2018 dopo la presentazione della squadra in Fiera Bolzano al Brasserie per il campionato 2018/19 quando i giocatori hanno incontrato i tifosi mi ricordo di averti detto che volevo vederti tante stagioni con noi e che speravo ti trovassi una fidanzata in città, come fecero Mike Rosati e tanti nostri idoli venuti dall’America. Si sono registrati progressi in questo senso?
Assolutamente si perché ho una fidanzata di Caldaro che si chiama Gerda con la quale sto insieme da due anni e alla fine sto passando anche le mie estati qui invece che a casa in Canada.
Ottimo, ci rende felici sapere che ti sei ambientato bene a Bolzano dove speriamo tu rimanga a lungo. Ti vedremo quindi ancora filmare la curva col telefonino dopo una partita vittoriosa?
Si, in America non c’è un tifo come in Europa e per la nostra lega il pubblico di Bolzano è di gran lunga il migliore e io ne rimasi impressionato. Guarda che per noi giocatori questo è fondamentale ed è una grande soddisfazione. Per questo sono triste nel vedere solo 1500 persone al Palaonda per il covid e voglio salutare tutti i nostri tifosi, anche chi sta a casa perché e non riesce a entrare.
Questo anno il Bolzano è la favorita numero uno davanti al Salisburgo per la vittoria finale della ICE Hockey League, quale è il tuo auspicio?
Intanto di giocare le finali con tutti i 7200 spettatori a riempire il Palaonda ma è difficile dire oggi cosa succederà tra 7 mesi. Noi abbiamo fiducia nel gruppo, nell’allenatore e nel presidente Knoll che ha fatto una grande squadra per cui ci proveremo. Pensiamo di procedere con umiltà step by step, una partita alla volta fino alla vittoria anche se non si può mai dire. Di sicuro l’anno scorso l’annullamento del campionato per il covid ci ha danneggiato perché eravamo primi, in forma, pieni di fiducia e probabilmente ce l’avremmo fatta, quanto meno ad arrivare in finale.
Quale è il tuo ricordo più bello a Bolzano, chi sono i tuoi migliori amici nello spogliatoio e cosa fai nei lunghi viaggi in bus?
Il ricordo più bello non può che essere la incredibile vittoria della EBEL nell’aprile 2018. In squadra siamo tutti amici perché deve contare il gruppo e si deve remare tutti nella stessa direzione restando uniti. In bus io me sto col mio ipad e la mia musica e non sono né nel gruppo della play station né gioco a carte ma mi trovo bene con tutti.
Perché giochi col numero 26?
Io giocavo col il 22, poi quando ero Junior un papà di un mio compagno mi chiese il numero 22 per suo figlio e io presi il 26 facendo una grande stagione e me lo sono tenuto perché andava bene.
Cosa pensi di fare dopo l’hockey?
Vorrei finire l’università come prima cosa importante e di sicuro mi piacerebbe rimanere nell’ambiente dello sport, magati come trainer, fisioterapista o insegnate di ginnastica. Magari imparare anche il tedesco se decidessi di fermarmi in Altro Adige come spero.
Speriamo allora di incontrare ancora Angelo in un prossimo futuro per commentare il titolo del Bolzano e la salvezza dell’Italia ai mondiali.
L’intervista per la Voce di Bolzano è stata realizzata da Dario Saracino
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