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Analfabetismo funzionale e social media: il corto circuito dell’informazione

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L’analfabetismo funzionale in Italia rimane a livelli molto alti, se si è stimato che il 28% della popolazione tra i 16 e 65 anni, si trova nella incapacità di comprendere ed usare le informazioni che incontra nella vita di tutti i giorni, prediligendo gli spot.

La cosa diventa drammatica per la diffusione dei social media, dove l’analfabeta funzionale vive molte ore tra le tante fake news che lo circondano.






Oggi i vertici evitano la intermediazione, diventano mediatici, lanciano un video, assistito da una grande potenza di fuoco, incendiano le contrapposte tifoserie e mettono in grave disagio proprio quello stato di diritto su cui si fondano le democrazie liberali.

Forse è venuto il tempo di liberarsi dei social media e ricominciare a vivere nelle relazioni interpersonali reali e non virtuali, gestendo almeno le notifiche, disabilitando quelle non necessarie.

Negli ultimi anni, i social media si sono trasformati in un’arena di dibattito pubblico dove chiunque può esprimere la propria opinione. Tuttavia, questa libertà di espressione ha evidenziato un problema sempre più diffuso: l’analfabetismo funzionale. Persone incapaci di comprendere testi complessivi, analizzare informazioni o valutare fonti attendibili popolano le piattaforme digitali, contribuendo a diffondere disinformazione, odio e superficialità nei dibattiti online.

Secondo diversi studi, l’analfabetismo funzionale non riguarda solo chi non sa leggere o scrivere, ma anche chi, pur avendo ricevuto un’istruzione di base, non riesce a comprendere testi articolati o a elaborare pensieri critici.

In Italia, la percentuale di persone che rientrano in questa categoria è allarmante: secondo l’OCSE, il 28% della popolazione ha difficoltà a interpretare un testo scritto in modo adeguato. Questo limite si riflette inevitabilmente nella qualità delle discussioni online, dove notizie false, teorie del complotto e argomentazioni semplicistiche trovano terreno fertile.

Le piattaforme social, nate come strumenti di condivisione e informazione, hanno finito per trasformarsi in spazi dove le emozioni prevalgono sui fatti e le opinioni vengono confuse con le verità assolute. Più un post suscita reazioni istintive, più viene diffuso, indipendentemente dalla sua veridicità o profondità di contenuto.

Un effetto diretto di questo fenomeno è la diffusione incontrollata di fake news e teorie del complotto. La difficoltà nel distinguere una fonte autorevole da una bufala spinge molti utenti a condividere informazioni senza alcuna verifica. Inoltre, la tendenza a ricercare solo conferme alle proprie convinzioni personali – il cosiddetto “bias di conferma” – porta a un pericoloso isolamento cognitivo. Le persone interagiscono solo con chi la pensa allo stesso modo, rafforzando convinzioni errate e rifiutando il confronto con punti di vista diversi.

L’incapacità di argomentare in modo logico e coerente si traduce in discussioni sempre più aggressive e prive di contenuto. I commenti su post e articoli spesso si riducono a insulti, slogan o risposte superficiali che ignorano completamente il senso del discorso originale. I social sono diventati il ​​palcoscenico perfetto per chi non sa ascoltare, non vuole approfondire e preferisce urlare piuttosto che riflettere.

 






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