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Abbandonata su una barella, muore dopo 8 giorni: la tragedia di Maria Ruggia all’ospedale Ingrassia

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Palermo piange Maria Ruggia, 76 anni, vittima di una sanità che sembra aver dimenticato il valore della dignità umana. La donna, cardiopatica con un passato di carcinoma mammario e affetta da diabete mellito di tipo II, è stata costretta a un’agonia di otto giorni su una barella nel pronto soccorso dell’ospedale Ingrassia. Un ricovero che si è trasformato in una condanna: lasciata in condizioni che persino i suoi familiari definiscono “disumane”, Maria è morta il 20 dicembre, dopo essere stata trasferita troppo tardi nel reparto di Medicina Generale.

La denuncia arriva dalla figlia, Romina Gelardi, che ha deciso di non lasciare che il silenzio cancelli questa vicenda. Assistita dall’avvocato Andrea Dell’Aira, ha presentato un esposto chiedendo alla procura di Palermo di fare luce su ciò che appare, senza mezzi termini, come un caso di grave negligenza sanitaria. La polizia è intervenuta, sequestrando le cartelle cliniche e predisponendo un’autopsia sulla salma, ora affidata agli specialisti dell’istituto di medicina legale.

Ma i dettagli di questa storia fanno rabbrividire. Romina racconta che sua madre, ricoverata il 10 dicembre con sintomi di inappetenza e nausea persistente, è stata lasciata per giorni in un ambiente che definisce “non idoneo” per una paziente fragile come lei. Nessuna terapia antibiotica preventiva, nessuna attenzione adeguata a una donna già debilitata da gravi patologie croniche. Secondo la figlia, i medici avrebbero ignorato chiari segnali di sepsi, come l’assenza prolungata di stimolo urinario, lasciando che le sue condizioni si deteriorassero irrimediabilmente. “Hanno aspettato troppo, e quando hanno deciso di trasferirla, era già tardi”, accusa Romina con rabbia e dolore.

Questa non è solo la storia di una morte, ma di un sistema sanitario che, ancora una volta, mostra le sue falle. Come può una paziente cardiopatica, affetta da patologie così gravi, essere abbandonata su una barella per otto giorni? Come può un pronto soccorso diventare un luogo di ulteriore rischio, anziché di cura? Domande che i familiari di Maria, e con loro molti cittadini, si pongono con indignazione.

Intanto, l’ospedale tace. Nessuna dichiarazione ufficiale, nessuna spiegazione su ciò che è accaduto in quei giorni. La vicenda di Maria Ruggia non è un caso isolato: è l’ennesima testimonianza di una sanità che, tra carenze di personale, disorganizzazione e strutture inadeguate, troppo spesso fallisce nel suo compito primario, quello di salvare vite.

Ora si attende l’esito dell’autopsia e delle indagini della procura, ma una cosa è certa: per Maria Ruggia, il tempo della giustizia medica è scaduto. Restano solo il dolore di una famiglia e l’amara consapevolezza di un sistema che, ancora una volta, ha lasciato indietro chi più aveva bisogno di essere protetto.

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