Gastronomia Trascendentale
A pranzo con Rossini – di Diletto Sapori
“Mangiare e amare, cantare e digerire: questi sono in verità
i quattro atti di questa opera buffa che si chiama vita
e che svanisce come la schiuma d’una bottiglia di champagne.
Chi la lascia fuggire senza averne goduto è un pazzo.”
Gioachino Rossini
Carissimi amici, compagni di vere merende e non di squallide altre paccianiane, credo che molti di voi già sappiano che il grande compositore Gioachino Rossini, di cui quest’anno ricorre il 150° dalla dipartita, era forse più convinto del suo cibo che della sua musica.
Ah, miei cari! Sempre Diletto deve spiegare che la cucina è trascendenza, sempre il vostro miglior commensale (virtuale e non) Sapori deve ricordare che il gusto è da intendere come mappa astrale, che aiuta a scoprire costellazioni antiche o nuovi mondi. Sappiate che mi ergerò parte civile nel processo, sempre aperto nel tribunale del (buon!) gusto e del convivio, contro il Mostro di Firenze, a causa del quale la locuzione “compagni di merenda” è stata espropriata, dotata di torvi significati di comunanze grottesche e sataniche, di morte e di violenza inaudita, anziché di gioiosi intermezzi alimentari.
Mai fu così a Firenze e dintorni per un panino col lampredotto, signora merenda gigliata, mai così per i manicaretti che a ogni ora del giorno il grandissimo Maestro Rossini preparava per i suoi amici, fino alle mitiche 14 portate dei suoi banchetti nella villa di Passy…
A chi non crede a questo ecumenico principio del Sapori, non resta che la vergogna: Diletto afferma con sicurezza che il viaggio del convivio non è quello del mangiare, ma il mangiare ne è pretesto, e viene utilizzato al semplice scopo di fare società, non foss’altro che di fare sopravvivere l’umano consorzio con vari e articolati espedienti calorici.
Ecco, allora, la vera “buona tavola” e il non prendersi troppo sul serio, grandi insegnamenti del grand’uomo Rossini. Rossini vive, Rossini soffre malattie e depressioni sempre ironizzando, ma Rossini cucina per i suoi amici e per le persone a cui vuol bene. Rossini, il maestro di cento e una sonata (se ne contano 133, di cui 42 opere), vuole far bene a chi lo contorna e gli offre manicaretti prelibati…
E se qualcuno è da lui, come il giovane trentenne Richard Wagner, per capire le vie del successo, lui se ne dimentica, e cucina, cucina i suoi tournedos, pensando dentro la sua anima gioviale di mattatore benefico che il gusto è messaggio, e che il messaggio è società.
Prendete, sembra dire sempre, siam qui per far fiorire il bene e combattere la bulimia, sia essa di cibo, denaro, potere o successo.
Rossini francescano, Rossini molto sobrio? No, questo non si può proprio dire, ma dirlo distante dalla materialità volgare, dall’aggiottaggio feroce, dall’ingordigia questo sì. E non è un paradosso: cucinare bene, creare occasione di dibattito e confronto profondo a partire da accostamenti alimentari signorili o arditi, ben sapendolo, è azione angelica.
Che vuol dire sempre allargare l’area del bene e allontanare la guerra. Indiscutibile la profondità del personaggio: indiscutibile proprio per la qualità eccezionale della sua produzione musicale.
Con essa, Rossini ha segnato il suo tempo e un’epoca della musica umana, l’epoca della melodia, con quell’apparente ripetizione che in realtà è continua sperimentazione a tema, preziosa, variegata modulazione in attesa del contrasto romantico, quasi a invocarlo.
Qui sì c’è ansia e un pizzico di angoscia, in Gioachino nostro… Ed ecco allora il bisogno di sorridere con la musica (“Il barbiere di Siviglia”, piatto forte del menù Rossini Opera Festival del 150° e “Adina”, ottime entrambe) e di rinfrancarsi con la cucina.
Ecco perché non è sbagliato dilungarsi sul come la mente del Maestro Rossini agisse in rapporto alla cucina, sul come una filosofia gastronomica di prim’ordine seguisse l’arte del grande pesarese.
Rossini, come ogni italiano, trova nel suo territorio d’origine una bella gamma di eccellenze gastronomiche di riferimento, anche se forse non educate come in Francia.
Ancor’oggi ottimo pesce dal piccolo porto prende la strada della panoramica verso Gabicce per rendersi disponibile in ristoranti dal target differente, oppure del lungo mare per giungere nelle cucine di alcuni alberghi.
Roberto Signorini, bravo albergatore pesarese, rossiniano nel gusto, spiega come l’accoglienza sia molto importante e anche la cucina abbia il suo grande peso, dal momento che l’immagine della città e di tutte le sue attività, ricettive e di ristorazione, sono in qualche modo legate a Rossini.
Ma c’è anche chi spudoratamente gli ha affibbiato una pizza.
Credo che Rossini rivoltandosi nella tomba, l’abbia maledetto, constatata la ricetta: che fredda maionese e uova sode possano gravare il celeberrimo disco bollente è davvero una trovata buffa…
E per fortuna che c’è chi, sull’onda della familiarità nella ricerca gastronomica connessa sempre al Maestro, riscatta, con magistralità, questo peccato: Paolo Severi di Farina studia con attenzione il mondo innovativo della pizza ne produce di davvero speciali, onorando, lui sì, il gusto del Maestro e la sua civiltà gastronomica.
L’amore per il tartufo giunge a Rossini dalla non lontana Ascoli, ma il profumatissimo tubero (versione nera) era penetrato nella cucina francese già dai tempi di Caterina de’ Medici, sposa a Enrico II re di Francia.
Da lì nasce il concetto di cucina internazionale che vede tre secoli dopo Marie Antoine Carême, affermarsi quale primo grande chef dei grandi d’Europa.
È lui che al Congresso di Vienna interpreta gastronomicamente gli animi che si spartivano il corpo malconcio dell’Europa ex napoleonica.
E in lui, Gioachino trova i segni di quel familiare savoir faire coi fornelli che la cucina italiana (fiorentina in particolare) aveva lasciato nella grande francese. Il tartufo sarebbe già quello francese del Perigord, ma Gioachino insiste con quello di Ascoli…
Carême e Rossini si conoscono da tempo e il compositore, che vive ormai a Parigi, è molto esigente. Dice lo chef dei re: “Rossini si fa mandare i tartufi e le olive da Ascoli, il panettone da Milano, i maccheroni da Napoli, gli stracchini e il gorgonzola dalla Lombardia, la mortadella, i tortellini e ‘il cappello del prete’ da Bologna, il prosciutto da Siviglia, i formaggi piccanti dall’Inghilterra, la crema di nocciole da Marsiglia…”.
Carême stravede per lui e quando il suo “Guillaume Tell” viene rappresentato per la prima volta, l’amico chef gli prepara una enorme torta di mele con al centro una mela infilzata da una freccia di zucchero.
Ma poi si spegne il 12 gennaio del 1833, a 50 anni, lasciando Gioachino vedovo di un quanto mai vero ed elevato compagno di merende.
Dite allora, cari amici, dite al vostro Diletto se questa storia di Rossini e Carême non è proprio… Gastronomia Trascendentale!
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