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Zelensky dopo l’incontro con Trump: è il caos diplomatico

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Volodymyr Zelensky, sei anni dopo la sua elezione, è ancora lì: un leader di guerra che vive in un palazzo fin troppo sfarzoso per i suoi gusti e lo ripete ad ogni visita, anche se in un certo senso vive in una stanzetta arredata da tre incoraggianti o utopici dipinti che parlano di vittoria.

Ma la presidenza dell’ex-comico Zelensky non ha nulla di teatrale, è il dramma di una lotta per la sopravvivenza contro la Russia e, a tratti, contro il cinismo dei suoi alleati, e ci riguarda tutti, come si è visto.

Recentemente, un incontro nello Studio Ovale ha mostrato quanto possa essere sottile con Trump la linea tra diplomazia e scontro.

Zelensky-Davide voleva conquistare Trump-Golia senza fionda ma con regali simbolici, come la cintura di campione del pugile Oleksandr Usyk, ma ha preferito iniziare con immagini crude: prigionieri ucraini torturati dai russi. Trump, noto per il suo ego, ha reagito male, quasi sentendosi lui l’accusato.

Il confronto è degenerato quando Zelensky ha chiesto al vicepresidente J.D. Vance se avesse mai visitato l’Ucraina. “Non mi interessano i tuoi tour di propaganda”, ha risposto freddamente Vance. Un grave insulto per Zelensky, abituato a mostrare le ferite del suo Paese per smuovere coscienze, e incredulo ha incassato e se ne è andato barcollando. Stavolta Davide ha sbagliato mira.

Rientrato in patria, Zelensky ha guidato il suo entourage a Moshchun, il villaggio che nel 2022 ha fermato l’avanzata russa verso Kiev. In inferiorità numerica di 13 a 1, gli ucraini hanno respinto i russi con le unghie e con i denti usando persino i fucili da caccia. “Non è propaganda. È un fatto”, dice Zelensky.

Eppure, mentre celebrava l’anniversario della battaglia, autorevoli fonti hanno descritto l’atmosfera come meno autentica, quasi coreografata. La domanda è inevitabile: quanto tempo ci vorrà prima che il ricordo del sacrificio diventi routine o, peggio, propaganda?

Zelensky ha visto svanire molte delle sue ambizioni. La sua “Formula di Pace”, che chiedeva il ritiro totale delle truppe russe e la punizione dei criminali di guerra, è diventata almeno per ora un pallido ricordo.

Ora si concentra su obiettivi più pragmatici anche se molto lontani, come l’adesione alla NATO, ma per farlo Putin dovrebbe arrendersi e consegnare ogni arma al nemico. Diversamente l’Europa rischierebbe di ritrovarsi i missili in giardino.

L’incontro con Trump ha lasciato cicatrici. Il presidente americano come un bambino prepotente e vendicativo ha subito sospeso gli aiuti militari all’Ucraina, costringendo Zelensky ad accettare un cessate il fuoco senza precondizioni durante colloqui in Arabia Saudita. Ma il prezzo è alto: l’Ucraina potrebbe dover accettare una pace imperfetta, con territori ancora occupati e terre rare scippate. Vedremo cosa succederà a Riad.

Trump, che si sta leccando i baffi con la Groenlandia sognando il Canada, sembra più incline a premiare le pretese di Putin più che a sostenere l’Ucraina. L’idea di reintegrare Mosca nel G7 è vista da Zelensky come un incubo.

Eppure, Zelensky continua a sperare di convincere Trump che una vittoria russa sarebbe una sconfitta per l’intero Occidente. La sua missione primaria è ovvia: Evitare che l’Ucraina diventi una mappa di zone morte come un po’ come mille Berlino della Guerra Fredda.

Zelensky rimarrà forse un simbolo di resistenza, ma con una guerra che si prolunga e alleati sempre più esitanti e incerti, deve affrontare una dura verità: quasi mai la pace e la giustizia coincidono.



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