Sport
Dalla cecità alla felicità: la storia di Cristian Sighel, atleta, papà e autore ipovedente
Tanta grinta, tanto amore per la vita ma soprattutto tanta voglia di reagire davanti alle difficoltà. Questo è quanto trasmette Cristian Sighel, atleta e campione ipovedente originario di Pinè.
A vent’anni si svegliò una mattina rendendosi conto di non riuscire a vedere più nulla. Da lì la corsa all’ospedale, gli interventi chirurgici, lo sconforto e la successiva voglia di rialzarsi e di tornare ad essere padrone della propria vita.
Cristian, vuoi parlarci di ciò che è successo quella notte?
“Nel dicembre 1998 iniziò ad insorgere il primo mal di testa seguito da febbre. Inizialmente si pensò ad una sinusite. Una mattina però mi resi conto di non vedere più nulla. Mi portarono in ospedale a Trento e successivamente a Verona. Subii due operazioni, ma nulla. Da quel momento in poi, mi sarei dovuto accontentare delle poche ombre che riuscivo ad intravedere dall’occhio destro.”
Come hai reagito inizialmente?
“Il primo periodo fu molto difficile a livello emotivo: rientrato a casa ripresi il lavoro in officina, pur con le mie difficoltà. Non volevo accettare la mia disabilità. Avevo inoltre comprato da poco la macchina nuova e spesso mi ritiravo in garage e giravo la chiave per ascoltare la radio. Il mio era un continuo sognare ad occhi aperti per fuggire dalla realtà.”
Quale è stata la scintilla che ti ha fatto voltare pagina?
“Molto importante è stato per me il corso per centralinista non vedente che ho svolto a Padova. Dopo vari tentativi, i miei genitori mi avevano finalmente convinto ad iscrivermi e lì, lontano da casa, ho conosciuto persone che convivevano con difficoltà ancora più grosse delle mie. Finalmente ho iniziato a vedere il bicchiere mezzo pieno.”
Come è stato l’inserimento nel mondo del lavoro, una volta terminato il corso?
“Del primo lavoro purtroppo non conservo un bel ricordo. I colleghi non capivano la mia disabilità e mi trattavano da persona diversa. La mia responsabile un giorno mi disse una frase del tipo «Cristian, non ci vedi e quindi non sei capace». In quel preciso istante capii che era giunto il momento di cambiar lavoro.”
Cristian, il tuo nome viene spesso associato all’atletica e alle tue vittorie: come ti sei avvicinato allo sport?
“Poco dopo aver cambiato lavoro, iniziai a praticare judo. Nel 2023, mentre mi stavo allenando per partecipare agli europei, mi si ruppe una clavicola. Una volta ripreso, mi venne proposto, quasi per gioco di partecipare ad una gara di 24 ore. Di lì a poco mi innamorai dell’atletica e delle ultramaratone che sono diventate la mia specialità.
Come dico sempre, partecipo a gare soltanto se prevedono almeno 30 km, altrimenti non mi diverto perché mi sembra finiscano subito.”
È stato lo sport ha insegnarti la grinta e l’entusiasmo con cui affronti la vita?
“La svolta definitiva è avvenuta nel 2009, durante una maratona di 24 ore. Ho approfittato di questo lasso di tempo per farmi un esame di coscienza e capire cosa volessi dalla vita. Mi sono reso conto che i risultati li avrei potuti ottenere soltanto se ci avessi creduto per davvero, ma soprattutto che ero io il padrone della mia vita.”
Sei soddisfatto della tua vita oggi?
“Assolutamente sì. Mi piacerebbe guarire un pochino per essere un po’ più autonomo, ma non tornerei mai indietro. La vita mi ha dato molto e ora mi ritengo felice.
Ho una moglie straordinaria e due bambine stupende e le soddisfazioni guadagnate mi fanno sentire davvero fortunato. Il lavoro che svolgo in cassa rurale mi piace molto e visto l’impegno e l’entusiasmo che ci metto, il direttore ha recentemente voluto premiarmi affidandomi anche delle nuove mansioni.”
Qualche anno fa hai anche scritto un libro per raccontare la tua storia: hai voglia di parlarcene?
“L’idea iniziale era quella di far capire alle mie figlie che con la fiducia in sé stessi si arriva ovunque. Volevo insegnare loro ad affrontare le difficoltà a testa alta.
Grazie all’aiuto dell’Unione Ciechi e all’incontro fortuito con il giornalista Maurizio Panizza il racconto che avevo abbozzato si è oggi trasformato in un libro che ha venduto più di 3000 copie. Si intitola Alla ricerca del sole.
Questo scritto è stato inoltre per me una sorta di auto – muto – aiuto: riascoltandomelo, mi sono sentito veramente orgoglioso di me stesso.”
Com’è essere papà nella tua situazione?
“Ci sono momenti in cui mi sento in difetto perché, a differenza di altri papà, ci sono mansioni che non riesco a fare, come ad esempio andare a prendere o portare le bambine a scuola. Per il resto, mi basta poco per capire quanto invece sia importante per loro.
Nonostante mi sia stato chiesto più volte di partecipare a competizioni sportive all’estero, finché le mie figlie sono piccole preferisco non allontanarmi troppo da casa e fare invece il possibile per esserci.
Dopo l’uscita del libro mi sono reso conto che le bambine si vergognavano un pochino di me. Avendomi sempre visto fare di tutto e di più, facilmente non si erano effettivamente rese conto della mia condizione. Ora con me sono molto dolci e apprensive e, stando a ciò che dicono le mastre a scuola, sono iperprotettive anche verso altri bambini e hanno sviluppato una sensibilità fuori dal comune.”
Se dovessi lanciare un messaggio ai lettori?
“Come dico sempre ai ragazzi quando vado nelle scuole a parlare di diversità, disabilità e inclusione, ci tengo a ribadire quanto segue: non giudicate sulla base di una semplice apparenza e non siate superficiali. Abbiate sempre voglia di crescere e di migliorarvi e affrontate la vita a testa alta.”
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