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Italia & Estero

Sei aggressioni nei pronto soccorsi in 72 ore

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Nelle ultime 72 ore, sei episodi di violenza si sono verificati nei pronto soccorsi italiani, confermando un’escalation preoccupante.

Gli episodi – dal 21 al 23 settembre – includono aggressioni a infermieri e medici a Prato, Varese, Imola, Cagliari, Napoli e Treviso, dove i protagonisti, spesso insoddisfatti delle cure ricevute, hanno reagito con violenza, minacce e danni.

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Nello specifico: 21 settembre pronto soccorso ospedale di Prato, Toscana: 15enne picchia gli infermieri e devasta i locali; 21 settembre pronto soccorso ospedale di Varese: alle prime luci dell’alba, cittadino extracomunitario aggredisce brutalmente due infermieri, appena uscito dall’ambulanza.

Ancora, 22 settembre pronto soccorso ospedale di Imola: 24enne non accetta la diagnosi di trattamento sanitario obbligatorio per la compagna, riempie di calci e pugni due infermieri e un medico e poi, non contento, si barrica in una stanza e inizia a brandire l’asta di una flebo, minacciando sia il personale che i pazienti.

E poi, 23 settembre pronto soccorso del Santissima Trinità di Cagliari: 52enne minaccia di morte il medico di turno; 23 settembre pronto soccorso Vecchio Pellegrini di Napoli: il padre di un giovane paziente, affetto da aritmia, è in disaccordo con la diagnosi dei medici, pretende le dimissioni immediate del figlio. Da qui è un susseguirsi di urla, minacce, spintoni e schiaffi al personale sanitario; 23 settembre pronto soccorso di Treviso. Paziente da in escandescenza perché pretende una tac quando i medici non ritengono sia necessaria. Minacce e spintoni.

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Nonostante le denunce, si apprende da una nota di Nursing Up, nessun agente di polizia era presente al momento degli incidenti, e gli arresti sono avvenuti solo dopo i fatti.

“Nel 100% dei casi il teatro delle aggressioni è stato il pronto soccorso, e questo corrobora la nostra denuncia presentata al Ministro Schillaci, nel corso del recente summit con i sindacati. I reparti di emergenza urgenza rappresentano “un pericoloso micromondo” e mai come in questo momento vanno trattati con piani di sicurezza ad hoc.

La seconda osservazione doverosa è che in nessuno dei citati episodi era presente almeno un agente al momento dell’avvenuta violenza.  Non accade, infatti, quasi mai che le aggressioni siano infrante sul nascere ai “primi pericolosi barlumi” di rabbia. 

Gli arresti, come in questo caso, sono scattati tutti a fatti drammaticamente avvenuti, dopo che il personale, aggredito o minacciato, ha allertato i commissariati più vicini. Non sempre l’intervento delle forze dell’ordine, in arrivo dall’esterno, si rivela però tempestivo, e non dipende nemmeno dalla responsabilità degli agenti stessi. 

I fatti, molto spesso, all’insegna di veri e propri raptus di follia, sono talmente rapidi nella loro dinamica che solo un poliziotto presente sul posto potrebbe arginarne almeno in parte la brutalità. E non è detto che ciò sia possibile se, come accaduto di recente a Foggia e Pescara, “va in scena” il raid punitivo ad opera di 40 o addirittura 50 soggetti in preda alla rabbia più incontrollabile. In questi casi nemmeno un solo uomo, che per altro in questi episodi non era presente, avrebbe potuto fermare sul nascere le aggressioni.” si legge. 

Nursing Up conclude poi con un appello: “E’ evidente che, oltre ad essere di fronte ad un costante aggravio delle violenze, nell’aggressività e nei numeri, che superano ormai la media di un episodio al giorno, c’è da constatare che non può essere soltanto “la pena rapida ed esemplare”, a fatti drammaticamente avvenuti, la soluzione a lungo termine.

Braccialetti con sistemi di allarme, pulsanti con codice rosso sul camice, cartelloni che avvisano del rischio che si incorre nell’aggredire il personale, esposti all’ingresso dei pronto soccorsi, fino ad arrivare agli arresti in flagranza di reato: tutto questo è davvero sufficiente?

Qui occorre, come il pane, un nuovo ingente dispiegamento di agenti. Occorrono uomini delle forze dell’ordine dislocati in tutti i pronto soccorsi italiani, 24 ore su 24. In molti casi, in realtà sanitarie con bacini di utenza molto grandi, un solo uomo, appare evidente da quanto sta accadendo, potrebbe addirittura non bastare!

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