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L’ultima sentenza dei giudici: «Accogliere gli immigrati minacciati dal rischio Covid»

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Agli immigrati che non hanno diritto all’asilo politico o alla protezione sussidiaria da guerre o torture può essere concessa la protezione umanitaria in Italia per il rischio coronavirus. Già perché il rischio Coronavirus nei Paesi d’origine può essere considerato motivo e concausa.

La decisione sarà eseguita con valutazioni d’ufficio, ovvero senza istanza delle parti. A deciderlo è stato il Tribunale civile di Milano che attraverso una serie di ordinanze depositate poco prima di Natale ha deciso che protezione umanitaria per Covid-19 viene concessa dalla Sezione specializzata in immigrazione se la pandemia dovesse apparire come un rischio tale da aggravare ulteriormente uno straniero già vulnerabile.

La valutazione sarà fatta prendendo in considerazione la crisi economica, i disagi sociali, le risorse sanitarie e alimentari e altri parametri come per esempio il concreto impatto del virus attraverso specifici indici internazionali.






Punto di riferimento sarà l’Inform Epidemic Global Risk Index con cui il Joint Research Centre della Commissione Europea ha specificato 100 indicatori di rischio su tre fasce: come riportato dal Corriere della Sera, si tratta di pericolo di esposizione (dalla densità demografica all’accesso all’acqua corrente), criticità intrinseche (dall’insicurezza alimentare alla variazione dei prezzi) e capacità del sistema (a cominciare dalla sanità).

Nei ricorsi alla sezione – presentati prima del decreto Salvini del 2018 – figurano un analfabeta che confessa di non poter tornare nel suo villaggio in Bangladesh perché verrebbe inseguito dai creditori, un giovane mandingo che non vuole tornare in patria poiché terrorizzato dai poteri dello zio “stregone” e un 15 enne della Guinea che ha già iniziato un tirocinio lavorativo.

Il Tribunale è stato chiaro: le loro storie non danno automaticamente diritto all’asilo. Ma comunque, viste le sentenze di Corte Ue e Cassazione, il Tribunale si sente di dover valutare la pandemia.

I loro vissuti dunque non sono motivo di protezione umanitaria, ma lo diventano una volta affiancati dai pericoli che affronterebbero nel loro Paese a causa dell’emergenza Coronavirus (tra mancanza di posti di terapia intensiva e personale sanitario). Tuttavia occorre specificare che non sono previsti automatismi: nonostante il Senegal abbia un indice di rischio medio-alto, a un giovane in fuga non è stata concessa la protezione umanitaria.

Da una parte perché “la risposta del Senegal alla pandemia é stata rapida in particolare grazie ad un’ottima strategia di sensibilizzazione della popolazione”; dall’altra perché i giudici non hanno ravvisato “specifici fattori di vulnerabilità che esporrebbero il ricorrente ad un rischio individualizzato in caso di rientro, considerato che è un adulto, mediamente scolarizzato, non affetto da patologie, e in costante contatto con la famiglia”.

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