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Intervista a Daniel Frank #94: “Il Palaonda? Una seconda casa”
I grandi campioni non hanno punti deboli, sono completi ed eccellono nelle doti fondamentali che sono la tecnica, le qualità mentali e quelle fisiche. Al loro servizio, in ogni squadra, ci sono giocatori che invece hanno meno qualità tecniche ma una grande forza mentale e fisica: sono giocatori aggressivi, coraggiosi, che hanno posizione, altruismo, forza, resistenza e velocità.
Nessun allenatore rinuncerebbe a questi giocatori e negli stadi il pubblico li apprezza perchè giocano col cuore e mettono anima e polmoni al servizio del collettivo.
Nel calcio sono i mediani e nell’hockey spesso sono le quarte linee, quelle del forecheck e del sacrificio. La quarta linea del Bolzano è stata sempre un grande punto di forza della squadra e fu epica l’anno della conquista della seconda Ebel nel 2017/2018. Era la linea di Frigo, Bernard e Frank, una delle più belle e efficaci di sempre. Inoltre quando il Bolzano è in inferiorità numerica e sconta le penalità, Daniel Frank e compagni sono sul ghiaccio per “uccidere” il power play avversario.
Per la “garra”, come direbbero in Sud America, al Palaonda la maglia di Daniel Frank è una delle più indossate sugli spalti la “numero 94” viene sempre esposta sulla ringhiera della curva nelle gare casalinghe dai tifosi biancorossi.
Intervistando Daniel Frank partiamo dall’inizio, chiedendo che sogni aveva un ragazzo di 15 anni che lasciava casa per andare a giocare nelle giovanili del Salisburgo e poi in Gemania?
Io avevo iniziato a pattinare a 4 anni e a 5 anni giocavo già a hockey nel Merano e consideravo l’hockey la mia vita, quello era il mio sogno e l’obiettivo principale. E’ stata quindi una mia scelta perché volevo diventare un “pro” di hockey, anche se è stato difficile lasciare mia mamma perché persi mio papa quando avevo due anni. L’unica condizione posta da mia mamma è che avessi continuato gli studi per fare la maturità e quando sono tornato in Italia mi sono regolarmente diplomato.
Daniel come e quando sei stato ingaggiato dal Bolzano?
Il dott. Dieter Knoll venne nella nostra gelateria a Merano e io lo riconobbi e mi proposi in maniera forse un po’ sfrontata ma convinto delle mie possibilità e siccome avevo 19 anni e per il regolamento della Ebel contavo zero punti fui valutato e aggregato alla prima squadra dove giocai 16 partite. Era la stagione 2013/14, da quel momento ho cercato di crescere sia come persona che come sportivo assieme ai miei compagni >.
E’ possibile conciliare l’hockey con il lavoro?
Certamente alcuni di noi cercano di conciliare l’hockey con il lavoro o con lo studio perché in Italia siamo semi-professionisti e la carriera di uno sportivo non dura in eterno. Come allenamento fisico ci si allena 2 o 3 ore molti intense oltre alla parte tattica, e pertanto con qualche sacrificio c’è lo spazio per fare qualcosa d’altro.
Cosa si prova ad essere uno dei giocatori più amati dal pubblico del Palaonda?
Il nostro pubblico ci aiuta tantissimo nei momenti difficili e non lo dico certo come una frase di circostanza, per me il Palaonda è veramente la mia seconda casa e colgo l’occasione per salutare la curva e tutto il pubblico. I nostri tifosi mi hanno fatto vincere il premio combattività nella passata stagione e quest’anno sono arrivato secondo. Questa è stata una grande dimostrazione di affetto e di stima che io cerco di ricambiare con l’impegno sul ghiaccio. Attualmente soffro molto perchè la nostra gente non può entrare al Palaonda e non sappiamo cosa ci riserva il futuro. Comunque il campionato dovrebbe ricominciare il 25 settembre pur con molte incognite.
La vita di un giocatore di hockey del Bolzano è fatta anche di lunghe notti in pullmann per tornare dalle trasferte in Croazia, Ungheria, Rep. Ceca o Austria.
E’ un aspetto che può essere duro, ovviamente si deve pernottare nel luogo della trasferta per preparare la partita, ma dopo la partita è meglio tornare a casa il prima possibile. Nel bus di notte si può dormire qualche ora anche se è difficile, nel viaggio di andata invece ci divertiamo giocando a playstation con il gruppo degli italiani, soprattutto con i miei amici Anton, Luca, Daniel e Marco mentre gli stranieri spesso giocano a carte o hanno computer e tablet.
Prima della storica vittoria a Salisburgo in gara 7 decisiva per il titolo 2017/18 c’era un grande ottimismo in città e tutta la tifoseria era sicura del successo. Voi come stavate e cosa vi siete detti nello spogliatoio?
La squadra provava la stessa fiducia, anche noi giocatori eravamo sicuri, pronti e carichi a mille e non avevamo il minimo dubbio di non vincere il titolo in trasferta e a casa loro. Prima di entrare in campo il coach Suikkanen ci ha detto di stare calmi, che era solo una partita e non c’era pressione, di divertirci e di giocare come squadra che avremmo vinto di sicuro. Ed abbiamo vinto ancora sul loro campo per la seconda volta 4 anni dopo!
Da ogni allenatore uno sportivo impara qualcosa, dicci una qualità positiva dei tuoi allenatori al Bolzano.
Pokel la calma e la tattica, Simioni l’umanità, Curcio la fermezza, Suikkanen la tranquillità e i fondamentali dell’hockey, Beddoes l’onestà e la correttezza >.
Il sogno di molti tifosi del Bolzano sarebbe quello di avere una squadra competitiva con molti più giocatori locali o comunque della nazionale italiana e qualche straniero in meno. Pensi che un giorno possa avverarsi?
Non spetta ai giocatori dare questi giudizi ma nell’ambiente di sono due teorie. Una è il vantaggio a breve termine che l’Italia ha nel rafforzarsi con i giocatori con doppio passaporto dai quali si può imparare molto se sono di alto livello. L’altra teoria è che a lungo termine possono soffocare l’emergere dei giovani del vivaio.
Perché hai il nr. 94 sulla maglia?
Io giocavo con il numero 21 ma quando sono arrivato a Bolzano lo indossava Trent Whitfield che era un giocatore molto importante per cui ho scelto il numero 94 che è quello del mio anno di nascita e visto che mi portava fortuna non lo ho più cambiato.
L’intervista per La Voce di Bolzano è stata realizzata da Dario Saracino
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