Merano
Solland, indagine contro gli operai che non spengono gli impianti per difendere la fabbrica
La piccola Ilva dell’Alto Adige è la Solland Silicon di Merano. Abbandonata dal Governo e da gran parte della politica locale, ma anche dal sindaco della stessa città in cui è stata per decenni un pilastro fondamentale dell’economia.
Anni di vicende giudiziarie, aste e dubbi sulle procedure seguite, ma rischiano solo gli operai nei confronti dei quali hanno cominciato ad essere notificate dall’autorità giudiziaria comunicazioni di una indagine in corso, che potrebbe anche travolgere proprio solo loro.
Perché non hanno accettato di spegnere gli impianti decretando così la morte della “loro” fabbrica e la perdita del loro lavoro.
“Le comunicazioni sono arrivate a domicilio delle prime persone interessate, lavoratori. Ora sarà da comprendere che piega e dimensione prenderà la vicenda, drammatica – sottolinea il consigliere provinciale Alessandro Urzì – . Potrebbe essere anche solo un atto dovuto, e lo speriamo vivamente, ma intanto c’è alla faccia dei tavoli ministeriali, dei ricorsi pendenti, dello sciopero in corso.
D’altronde la vicenda è tutto tranne che trasparente e chiara. Uno scontro non solo industriale e collegato ad un fallimento“.
La dimensione politica è emersa anche nel corso di una recente seduta straordinaria del Comune di Merano dove le forze politiche italiane hanno espressamente denunciato l’obiettivo politico dichiarato di fare morire un’azienda collocata nel contesto industriale italiano.
Una fabbrica storica per Merano, nata sul sito della antica Montedison negli anni Trenta del secolo scorso attorno alla quale sono cresciuti i quartieri operai di Merano. I meranesi di lingua italiana sono in grande parte figli di quella fabbrica che oggi conta solo una sessantina di operai tutti iperspecializzati.
Dal vortice di speranze, offerte calate sul tavolo ma ignorate e assegnazione per asta ad una “fortunata” impresa locale di tutto il complesso per pochi spiccioli (poco meno di due milioni, il costo di quattro appartamenti) entrano in scena i lavoratori che dopo avere ricevuto il mandato attraverso le ordinanze di dismissione della Provincia di togliere la spina alla loro stessa azienda, svuotando i silani e spegnendo le macchine in una operazione di massima delicatezza controllata, hanno deciso di entrare in sciopero: svuotare le riserve di materiale primo significherebbe infatti spegnere il cuore della fabbrica.
Tutte le operazioni di mantenimento in sicurezza degli impianti vengono garantite.
Ma è a loro che ora viene notificato l’avvio di una indagine: sarà solo dovuta ma intanto adesso, dopo questa penosa vicenda che dura da anni, sono solo loro, gli operai, ad essere a rischio penale, probabilmente perché si sono rifiutati di completare il loro suicidio (lavorativo) assistito”, conclude Urzì.
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