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Le nostre storie

Oltre la disabilità, la forza della vita e il dono di un sorriso. La storia di Claudio Palmulli

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Questa settimana nella rubrica “Le nostre storie” parleremo di disabilità.

Un tema che ci sta molto a cuore, e che vorremmo trattare con positività, e speranza, raccontando la storia di Claudio Palmulli, affinché chiunque possa trarre ispirazione dalle sfide e dai traguardi di questo giovane combattivo tetraplegico, trapiantato da poco in Alto Adige.

Chi è Claudio Palmulli?

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Romano di nascita, bolzanino di adozione, Claudio nasce il 21 luglio 1986 nella Capitale. A causa di complicazioni durante la gravidanza, nasce prematuro, a soli 6 mesi e 20 giorni di gestazione.

Uno scricciolo di neanche un chilo di peso, passa molti mesi in ospedale, prima di poter finalmente andare a casa, dove tutta la sua famiglia lo aspetta con trepidazione.

La diagnosi di tetraparesi spastica neonatale, in un primo momento, crea sgomento in casa Palmulli, ma superato lo shock iniziale, saranno i suoi genitori ed i suoi fratelli a crescere e vivere Claudio, come un ragazzo normodotato, inculcando in lui la voglia e l’orgoglio di essere il più possibile autosufficiente.

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Infatti studia, frequenta una compagnia di amici, viaggia molto, trova lavoro e pratica sport.

Ed è proprio nello sport che Claudio trova la sua strada. A tal punto da partecipare, di gara in gara, di allenamento in allenamento, ad una vera e propria maratona. 42 km e 195 metri, tutti sulle braccia, con la carrozzina a spinta.

Era il 2 aprile 2017, Claudio aveva capito, che non ci sono limiti, se non quelli che noi vogliamo porci. Da questa impresa sportiva eccezionale, nasce il libro “Il vento sulle braccia” scritto ovviamente da lui stesso, il ragazzo dalle mille risorse.

Claudio, quali sono le difficoltà maggiori che hai riscontrato nel tuo percorso di vita, dall’infanzia fino ad oggi?

Le difficoltà riscontrate nel mio percorso di vita, lo dico con il cuore, e senza fare vittimismo, sono state molteplici.  Durante l’infanzia, ho faticato ad accettare la mia disabilità. Vedevo gli altri bambini giocare, correre e saltare, tutte cose che io ovviamente, non potevo fare.

Quando si è piccoli, difficilmente si può accettare il concetto di disabilità, perché è complicato, incomprensibile, ed a volte ingiusto. Per fortuna crescendo, ho imparato ad apprezzare le piccole cose, che questa condizione particolare, “ti dona”.

Per spiegarmi meglio, cioè che per i normodotati sono semplici azioni quotidiane, come alzarsi dal letto, lavarsi, vestirsi, uscire a fare la spesa o quant’altro, per me sono ostacoli quotidiani da superare.

Crescendo, ho cambiato la mia visione delle cose, ed ho iniziato a guardare con occhi diversi queste grandi e piccole autonomie, conquistate con con caparbietà e forza d’animo.

Per questo livello di maturazione e consapevolezza raggiunto nel tempo, devo ringraziare prima di tutto la mia famiglia, che non mi ha mai compatito, ma trattato sempre come una persona senza disabilità, non agevolandomi su nulla che non potessi fare da solo.

Infine l’esperienza lavorativa, l’essere parte della società come cittadino attivo, mi ha dato quell’ultimo importantissimo slancio, per essere il Claudio di oggi.

Come definiresti la qualità della vita di un disabile, in una città come Bolzano?

Io vengo da Roma, una città che per un diversamente abile è un po’ come vivere perennemente in una puntata di “URBAN SURVIVE”!

Quando vivevo nella capitale, non potevo neanche uscire di casa. Quando vi ero costretto, usavo la carrozzina elettrica, e con estrema difficoltà, mi destreggiavo tra automobili parcheggiate ovunque, mezzi pubblici inadeguati e lavori di manutenzione ad ogni angolo di strada.

Anche il solo recarmi alla posta, a ritirare la pensione di invalidità, che era il mio unico mezzo di sostentamento, diventava un’impresa eroica! Non ero per niente indipendente e dovevo sempre chiedere a qualcuno di accompagnarmi, per le mie commissioni.

Ad esempio per andare al lavoro avevo la mia migliore amica, Paola, che mi veniva a prendere e mi riportava a casa.  Non era vita quella, per chi cerca di essere autonomo e non pesare su gli altri. Insomma, Roma dal punto di vista di un diversamente abile è veramente invivibile.

Bolzano, dove ora vivo ormai da un anno, invece, è davvero un’isola felice, a livello di trasporti e servizi.

Forse fino a qualche mese fa, circolava ancora qualche mezzo della Sasa un po’ troppo vecchio, con le pedane mobili spesso fuori uso, ma ora la situazione è decisamente migliorata e le lamentele su questa città, a volte sono esagerate.

Quello che ho notato però, è la mancanza di uno sportello informativo dedicato esclusivamente alla disabilità, dove reperire tutte le informazioni, di cui un disabile avrebbe bisogno, per migliorare la sua qualità di vita. Ad esempio, nel mio caso, il trasferimento è stato veramente complesso.

Se non si sanno le cose, se non si sa dove ed a chi rivolgersi “si sbatte da una parte all’altra, senza via di uscita”.

Comunque Bolzano, per me rimane la città migliore d’Italia, a livello di accessibilità e vita sociale. E poi qui ho trovato Luana, l’amore della mia vita, e me la sono pure sposata, perché il mio Angelo biondo è anche un’ottima cuoca!

Se tu potessi legiferare a favore dei disabili, cosa cambieresti della politica attuale, per migliorare le condizioni della persone diversamente abili?

Di cose per migliorare la vita di un diversamente abile ce ne sarebbero veramente tantissime. L’Italia per una gestione politica inefficace, o meglio inconcludente, è lontana anni luce dal mondo reale della disabilità.

Siamo molto indietro, rispetto ad altri Paesi europei, su questo tema. Se potessi davvero cambiare le cose, aumenterei subito le pensioni di invalidità, portandole da 290€ a 900€ .

Non abbiamo bisogno della carità, ma solo di una qualità di vita dignitosa, per noi ed i nostri familiari che ci assistono. E poi, abbatterei immediatamente tutte le barriere architettoniche. Abbiamo il diritto di accedere ovunque, come un qualunque cittadino senza disabilità.

Un Paese serio, si vede da come aiuta i suoi cittadini più deboli. Servirebbero inoltre, più spazi per l’aggregazione sportiva! Bisognerebbe invogliare i disabili a fare sport, perché lo sport è una valvola di sfogo importantissima, un toccasana, per superare i problemi ed i momenti di sconforto.

Su Facebook hai creato un gruppo di ascolto dove offri il tuo tempo, con il solo scopo di “regalare un sorriso”. Da dove nasce questo progetto e come si sviluppa a livello pratico?

Il progetto, nasce dalla mia volontà di ascoltare chi ha bisogno di una parola amica, e magari, di riuscire anche a regalare un sorriso. All’atto pratico, è una chiacchierata amichevole, tra persone che hanno voglia di conoscersi.

Senza pregiudizi e senza la pretesa di insegnare nulla. Ci si ascolta, ci si scambia pareri e consigli in base alle nostre esperienze di vita. Tengo a precisare che il mio amico Alessandro Gargottich ed io, siamo i gestori della pagina, ma non siamo Mental Coach o psicologi, semplicemente doniamo il nostro tempo ad altri, perché ci sembra un bel gesto, di altruismo e civiltà.

Ci hanno contattati in molti, persone di qualsiasi identità ed età. Oggi abbiamo a disposizione uno strumento molto importante: i Social, dove ormai, passano una miriade di informazioni, ma dove i rapporti sociali rimangono solo virtuali.

Perché quindi, non rendere concreto, un rapporto di amicizia, vedendosi di persona, e rendere meno superficiale la conoscenza tra gli “amici ed i followers del web? Ci vuole davvero poco, per regalare un sorriso, una parola di conforto. Per tendere la mano a chi ha bisogno, di un gesto di sincera umanità.

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