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Etichette bilingui sui prodotti, Urzì: “Mercato altoatesino rischia l’abbandono delle aziende”

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Il recente voto in consiglio provinciale sulla volontà di introdurre l’obbligo di utilizzo di etichette bilingui sui prodotti commerciali solleva più di qualche perplessità sul potenziale danno economico che la provincia di Bolzano potrebbe subire nei prossimi anni a causa di una decisione di questo tipo.

Scrive il consigliere provinciale Alessandro Urzì:

Non solo in Alto Adige vogliono chiudere i centri commerciali ed i negozi alla domenica, costringendo i consumatori a raggiungere Trento, Affi o Verona per gli acquisti del fine settimana, ora il piano è quello anche di sbarrare la strada alla concorrenza commerciale introducendo l’obbligo (sulla carta bellissimo, nella pratica realizzazione impossibile) del bilinguismo integrale (dico integrale) sulle etichette di tutti (dico tutti) i prodotti.






La follia della retorica autonomistica oggi ha segnato un ulteriore passaggio.

Il Consiglio provinciale ha votato la volontà di introdurre questo obbligo (o meglio di farlo introdurre dal nuovo governo rossogiallo).

Al di là dei romanticismi che condividiamo (sarebbe ideale questa situazione di bilinguismo perfetto dalla confezione degli stuzzicadenti alla Nutella passando per i pelati e per finire al salmone norvegese o al finocchietto siciliano, i datteri tunisini o il tonno giapponese) la realtà è che una misura draconiana di questo tipo si tradurrebbe nell’abbandono del mercato altoatesino da parte di aziende che producono centinaia di migliaia di prodotti.

O si pensa che la fabbrica che esporta dal Sudafrica sia interessata a farsi carico delle spese di etichettatura “speciale” come la nostra autonomia per il solo mercato altoatesino (100.000 anime) con conseguente organizzazione logistica, trasporti speciali?

E le aziende di distribuzione e la rete di vendita? Si farebbero carico della traduzione di tutto o per una questione di costi (mostruosi) e logistica si concentrerebbero solo sulle aziende (sempre meno, pochissime forse) interessate a farsi carico dei costi supplementari per le produzioni dedicate solo al mercato altoatesino rendendo asfittica la piazza locale.

Sempre più chiusi, una mentalità dell’involuzione e della incapacità di vedere oltre anche le legittime aspirazioni morali.

Attenzione: ho a suo tempo fatto approvare un progetto di legge che prevedeva l’etichettatura bilingue per le sigarette. Poi il Parlamento, a cui il progetto di legge era stato consegnato, non ne fece nulla. Quindi la mia sensibilità è senza ombra di dubbio piena.

Ma in quel caso si trattava di obbligare chi produce prodotti che si sa fanno male alla salute. Se anche avessero ottenuto l’obbligo di aggiungere le indicazioni sulla pericolosità nella seconda lingua in fondo eravamo convinti di fare un’opera con costi a carico di “speculatori” sulla salute dei cittadini.

Ma imporre un obbligo all’intero mercato significherebbe dire al 90% di esso: il costo per sbarcare in Alto Adige è troppo alto, potete anche rinunciare a vendere in provincia di Bolzano. Cosa diversa sarebbe stato promuovere la cultura del bilinguismo, non porre le premesse per imporlo sulle etichette di tutti i prodotti commerciali, per legge.

Così oltre ai supermercati chiusi la domenica (come vorrebbero e forse ci arriveranno) ci troveremo anche gli stessi supermercati svuotati da prodotti che non potranno offrire per motivi di costi, di logistica, di organizzazione le etichette bilingui.

L’aria dell’Alto Adige è sempre più viziata”.



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