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Violenza sulle donne, una sedia rossa anche in consiglio provinciale

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Una sedia rossa anche in consiglio provinciale in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne che si celebra domani, 25 novembre.

Nel foyer del palazzo provinciale 12 ai Piani di Bolzano, sono già state collocate altre 4 sedie dello stesso colore, che, nell’ambito della campagna Il posto occupato, stanno ad indicare i posti che sarebbero stati occupati dalle donne uccise nel 2018.

Dietro alle sedie sono stati stesi alcuni capi di abbigliamento per ricordare, tra l’altro, la recente sentenza che in Irlanda ha assolto gli stupratori di una ragazza per il semplice fatto che indossava un tanga.

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L’appello anche in Alto Adige è quello di dire NO alla violenza, e SI al dialogo, alla denuncia.

La violenza contro le ragazze e le donne ha molti volti. Accade ogni giorno e ovunque. Spesso è invisibile.

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Si può restare alla mercé di un uomo violento per anni, decenni o addirittura per tutta la vita.

Anche nella nostra piccola terra le notizie sugli abusi sessuali, la violenza domestica, la schiavitù economica delle donne ci sono e sono indicative di un fenomeno che non diminuisce.

Quattro le donne brutalmente assassinate in Alto Adige negli ultimi otto mesi. Dall’inizio del 2018 sono 94 in tutta Italia e 16 in Austria. 600 negli ultimi quattro anni.

Secondo i dati pubblicati dall’ISTAT, a livello nazionale il 31,5% delle donne tra i 16 ed i 70 nel corso della propria vita ha subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale, nel 5,4% dei casi le forme più gravi di violenza come il tentato stupro o lo stupro.

L’Europa richiama l’Italia sulla troppa poca attenzione che si riserva al fenomeno nel nostro Paese: mancano più di 5mila posti letto per chi fugge dalle mura domestiche, teatro dell’80% dei maltrattamenti, mentre i fondi pubblici sono scarsi o male utilizzati.

Sono morti annunciate – commenta l’avvocata Marcella Pirrone, attiva in collaborazione con il centro antiviolenza Gea di Bolzano e partner della rete dei centro antiviolenza Dire – a causa della mancanza di azioni concrete su tutto il territorio italiano. Entro marzo prepareremo la documentazione da trasmettere in Consiglio d’Europa”.

Ed è vero che molte delle vittime di violenza hanno ancora paura di denunciare, non hanno la certezza della protezione sociale per sé e per i propri figli.

In provincia di Bolzano (a Bolzano, Merano, Bressanone e Brunico) ci sono cinque strutture protette (case donna) e quattro centri d’ascolto antiviolenza.

Secondo un’indagine ASTAT relativa al 2017, sono 565 donne le assistite nei centri d’ascolto antiviolenza e nelle strutture protette sul territorio.

Le cinque strutture residenziali dispongono di 40 appartamenti (o stanze): tale è pertanto la capacità ricettiva destinata alle donne in situazione di violenza, ma altre stanze sono destinate ad eventuali figli e figlie delle stesse.

La permanenza nelle case donna è spesso di pochi mesi, ma non mancano le permanenze più prolungate.

La lunghezza della permanenza dipende anche dalla provenienza della donna: la donna straniera, che non dispone di una rete parentale e amicale sufficientemente sviluppata, ha più bisogno di un „rifugio“.

Anzi, spesso per le cittadine italiane è sufficiente l’assistenza del Centro.

La composizione percentuale delle cittadinanze per tipologia di struttura vede le cittadine italiane su quote molto più alte nei centri che nelle case. Il dato è del tutto simile a quello dell’anno precedente.

Le donne in situazione di violenza che si rivolgono alle strutture appartengono soprattutto alle classi centrali di età.

Non va dimenticato del resto che l’età al matrimonio, o anche di una prima convivenza, si è spostata molto in avanti e che, essendo il maltrattatore quasi sempre il marito o il convivente (o l’”ex”, come si vedrà nel grafico 4), la quota delle vittime di meno di 30 anni non è elevata (circa un quarto dei casi).

Altre cause potrebbero essere cercate in eventuali “esitazioni” della donna nel decidersi a farsi aiutare, oppure nel fatto che la violenza non nasca nelle prime fasi del rapporto di coppia. Da questo punto di vista non si registrano significative variazioni rispetto al 2016.

Il grafico 3, relativo alla variabile territoriale, va letto considerando anche la presenza sul territorio di una struttura antiviolenza, che potrebbe incidere sulla propensione a farsi aiutare. Incide anche l’esistenza di una rete di servizi che collaborano a sostenere la donna.

Anche l’abitare in zone urbane del resto aiuta le donne a trovare il coraggio di chiedere aiuto.

Più che tasso di violenza, infatti, questo valore esprime il tasso di emersione del fenomeno: si stima che solo 1 donna su 20 che subiscono violenza si rivolga ad un Centro antiviolenza della Provincia (la stima là si ottiene rapportando i dati pervenuti dalle strutture ai risultati dell’indagine “Multiscopo sulle famiglie – Sicurezza delle donne”).

Potrebbe incidere anche la maggiore presenza di popolazione straniera nel capoluogo.

La violenza (o quantomeno quelle forme di violenza che più spingono la donna a recarsi presso una struttura) avviene quasi sempre in famiglia.

In oltre la metà dei casi (56,1%) il maltrattatore è colui con il quale la donna convive (marito o convivente); in un altro 22,0% dei casi il pericolo arriva dall’ex-partner, mentre molto più raramente dal fidanzato (2,8%). Ra- ramente il maltrattatore è un amico o un conoscente (5,4%). Rarissimamente è uno sconosciuto (0,8%).

È del resto comprensibile che quest’ultimo tipo di situazioni porti più facilmente a cercare altre soluzioni.

Ogni anno, in parallelo all’indagine sui Presidi socio-assistenziali, l’ASTAT realizza un approfondimento, con una scheda ad hoc, sulle strutture dedicate alle vittime della violenza sulle donne.

 

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