Arte e Cultura
“20 anni dalla Guerra in Kosovo” il 25 settembre alla Kolpinghaus con Caritas e Centro Pace
Il 9 giugno 1999, dopo il pesante e discusso intervento delle forze Nato, terminava il sanguinoso conflitto con la Serbia del presidente Milošević.
Ma come si vive oggi nel piccolo Paese balcanico, tuttora segnato dai difficili rapporti con Belgrado?
Una lettura della situazione attuale verrà data attraverso le analisi di Mons. Lush Gjergji, Vicario generale della Diocesi di Prizren-Pristina: tra le sfide interne le disparità sociali, l’emigrazione, la corruzione e l’importante “ruolo ponte” della Chiesa.
L’appuntamento è per mercoledì 25 settembre alle 18.00, presso la Sala Grande della Kolpinghaus in Largo Adolph Kolping, 3 a Bolzano.
Organizzano il Centro per la Pace del Comune di Bolzano, sotto la gestione della Caritas Diocesi Bolzano-Bressanone.
Intervengono Mons. Lush Gjergji, Vicario generale della Diocesi di Prizren-Pristina, Paolo Valente, direttore della Caritas Diocesi Bolzano-Bressanone e Fabio Molon, responsabile del servizio Mondialità della Caritas Diocesi Bolzano-Bressanone
Evento è in lingua italiana ed è organizzato in collaborazione con il servizio Mondialità della Caritas diocesana.
I FATTI
La storia del più giovane Stato balcanico è proseguita con l’unilaterale dichiarazione d’indipendenza, proclamata il 12 febbraio 2008 e riconosciuto finora da 113 dei 193 Paesi membri dell’ONU tra cui cinque Stati dell’Unione Europea. È cambiato tanto da quel momento, per non dire tutto: il sistema politico, economico, sociale, culturale.
Le ferite del passato però rimangono. Come nel resto dei Balcani, anche nel Kosovo si conferma un senso di “giustizia mancata” riguardo a violenze subite, a persone scomparse, a criminali non puniti.
La vita a Pristina oggi è migliorata molto, sono state ricostruite le case distrutte e la rete autostradale, i centri urbani sono cresciuti, è stato adottato l’euro e il tenore di vita è aumentato. Ma nonostante questo le aspettative della gente non sono soddisfatte. Tra le sfide maggiori Mons. Lush elenca “la disparità sociale, la grande emigrazione, la disoccupazione giovanile, ma anche la corruzione dilagante e la mancanza di fiducia nei politici“.
“Purtroppo – afferma – anche la speranza nell’adesione all’Unione europea rimane lontana, con lo stop ai negoziati per la normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia“.
Vent’anni dopo la fine della guerra, nei Balcani di nuovo si parla di spartizione dei territori, cercando una rivincita per le perdite del passato. In questo lasso di tempo, nonostante periodi anche duraturi in cui le tensioni si sono allentate, le contraddizioni, le insofferenze e il rimpianto sono il terreno prediletto per esacerbare il malcontento e l’incomprensione.
Nel processo di riconciliazione e dialogo un ruolo chiave è ricoperto dalla Chiesa cattolica nel Paese, impegnata a promuovere la pace e il dialogo interreligioso, cercando di essere una Chiesa ‘ponte’ per creare l’unità nella diversità fra nazioni, culture, religioni e per una convivenza pacifica e fraterna.
Don Lush Gjergji
Sacerdote, laureato in filosofia e teologia all’università Urbaniana di Roma, settant’anni, è un intellettuale molto apprezzato in Kosovo. Teorico e animatore del processo di nonviolenza e riconciliazione che ha caratterizzato il Kosovo nella prima metà degli anni Novanta, consigliere e amico di Ibrahim Rugova, lo scomparso primo presidente della piccola Repubblica balcanica, è biografo di Madre Teresa di Calcutta (autore di 15 libri in italiano, albanese e croato sulla Santa di origine albanese).
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